Andata e forse ritorno: è così semplice emigrare dall’Italia (2)

febbraio 6, 2015 in Fuga dall'Italia da Chiara Zonta

NottinghamÈ impressionante quanto velocemente mi sono ambientata.

Certo, questo è un altro mondo, e ci sono aspetti nella mia nuova quotidianità che mi risultano ancora difficili da metabolizzare – tipo i rubinetti separati per l’acqua calda e quella fredda, il gusto del caffè, i prezzi generalmente più alti, una volta attivato il convertitore pound-euro. E poi, il senso di marcia (su corsia, marciapiede, scala mobile) sul lato opposto, sulle monete c’è la siluette di Queen Elisabeth II, le prese per la corrente, le unità di misura (Libbre? Pinte? Miglia?) e mille abitudini sono diverse, ma niente di tutto questo è stato debilitante finora. Curiosità e novità di cui prendere atto, gestibili, pure divertenti.

Nel giro di poco ho conquistato una mia geografia quotidiana: una cameretta ben personalizzata – il mio piccolo nido nell’UK – in una casa e una zona in cui mi trovo piuttosto bene. Nottingham ha l’offerta di una città e le dimensioni sociali di un grappolo di paesotti. È accogliente e stimolante. E con l’abbonamento ai bus mi muovo ovunque.

Poi, il malumore da clima britannico è scongiurato dall’abbondanza di verde che mi circonda – parchi, parchetti, giardini e viali alberati spuntano un po’ ovunque, i prati sono ampi e gli scoiattoli curiosi.

BeestonL’inglese, beh, lo so abbastanza da riuscire a comunicare e, anche quando fatico a capire o a parlare, non mi viene mai fatto pesare, anzi: tutti hanno cercato di  aiutarmi e mi hanno incoraggiato a provare (e magari sbagliare), perché è con la pratica che si impara.

Sì, perché se c’è una cosa che mi ha stupito è constatare quanto la gente qui sia cordiale, disponibile, paziente, … friendly. E, in confronto agli italiani, molto meno stressata. Non saprei come altro definire questa differenza: in generale, i cittadini si sentono tranquilli e sono quindi positivi, ottimisti e incredibilmente gentili. Hanno problemi e preoccupazioni come tutti, ma stanno bene. Si vive bene.

Secondo me è anche perché il sistema nel suo insieme funziona: si ha la sensazione che i principi di trasparenza, partecipazione e buon andamento siano per lo più applicati, e questo trasmette nei cittadini un senso di relativa sicurezza e tranquillità che si traduce in un comportamento più rispettoso e bendisposto verso gli altri e l’ambiente che li circonda. Forse il personale specifico non è qualificato ai livelli italiani, ma le prestazioni sono efficaci, efficienti, competenti. È evidente, ovunque.

E così diventa normale ricevere un consistente regalo di Natale dalla società dei trasporti pubblica, come compenso per i disagi arrecati lungo la via dove abito a causa dell’apertura di una nuova linea di tram. Insieme a segnalazioni sul procedere dei lavori, date e orari con largo anticipo delle operazioni più complicate e, soprattutto, moduli per recapitare loro eventuali suggerimenti e lamentele, a cui gli abitanti sanno che riceveranno puntuale risposta.

parchiE poi, fattore ultimo e più importante nel mio inserimento: ho trovato lavoro! E nel giro di poco: il mio primo mercoledì mattina ho lasciato un curriculum al ristorante, nel pomeriggio mi hanno chiamato per il colloquio, che ho svolto in giornata, sabato ho lavorato un turno di prova e, non appena finito, mi sono trovata con un lavoro a tempo indeterminato. Che non ho accettato subito, perché ero in prova in altri due posti. Il manager ha insistito parecchio perché la decisone cadesse su di loro e io mi sono trovata nell’inaspettata situazione di poter scegliere da chi voglio farmi pagare. Non è sconvolgente?

In tutta sincerità trovo ancora più sconvolgente è il fatto di esserne sconvolti.

Non dovrebbe forse essere normale trovare un lavoro, venire assunti ed essere ripagati?

Tutti mi dicono che sono stata coraggiosa a partire, che venire qui, da sola e con poco o niente, è difficile.

Quel sabato sera avrei dato loro ragione. Domenica cominciavo a cambiare idea. E a poco a poco, ho capito: non sono coraggiosa, sono stata una codarda bella e buona. Perché non sono partita, me ne sono andata, e a rotta di collo. E perché qui, al contrario, è tutto più facile.

L’unica cosa davvero difficile è convivere con la consapevolezza che le persone che amo e che mi amano sono lontane e che, con più coraggio di quanto ne abbia avuto io, conducono una vita che io non saputo fare mia, che io non sono riuscita ad affrontare, in cui io non sono riuscita a costruire niente di così solido da potermi trattenere. Perché non sono riuscita ad afferrare le opportunità che ci sono, a sfruttare al massimo le occasioni che ho avuto, a farmi bastare quello che ho trovato, a coltivarlo. Perché le continue delusioni mi hanno convinta che non ne ero in grado. In Italia.

robinhoodSono scappata da un’esistenza in cui stentavo a sopravvivere, rincorrendo il desiderio di dimostrare a me stessa che invece sono in grado di vivere, di ricavarmi il mio posto nel mondo, di edificarmi un futuro.

E ci sono riuscita. Perché qui è semplice.

Ricominciare da capo, cambiare vita, è semplice.

E infatti, non ho mai avuto una condizione tanto stabile e solida quanto quella che mi sono costruita qui in appena dieci giorni.

Paesi come questi, che hanno una tradizione di immigrazione assimilata e gestita, non subita, ti si rivelano come una boccata d’aria fresca. Tutto appare più leggero, frizzante e positivo. Semplice.

Tutto sembra un po’ più possibile.

Eppure il mio Bel Paese mi manca, mi manca davvero tanto. Sono ancora convinta che è quello il posto dove voglio vivere, che appartengo alle terre e alle persone che ho salutato quel sabato sera. Per quanto sia bello stare qui, per quanto sia… semplice, io so che tornerò.

Ma… ho come l’impressione che l’Italia non mi voglia con sé. Non crede in me, non crede nelle mie capacità, non vuole il mio contributo personale e professionale, i miei studi, la mia esperienza, il mio talento, il mio entusiasmo. Non scommette su di me. Non si è nemmeno chiesta se ha bisogno di me.

parchi2Mi ha dimenticata.

Come spiegare, altrimenti, che ogni tentativo di reinventarmi, di adattarmi, ogni strada che ho provato ad imboccare si è trasformata in un vicolo burocraticamente, economicamente, socialmente cieco?

Ci sono momenti in cui penso che, se qui ci sono riuscita, anche lì troverò il modo. Come se quest’Inghilterra fosse il mio pellegrinaggio personale per sbloccare tutte quelle otturazioni emotive che mi avevano impedito di vivere serenamente in Italia. Come se esistesse un’equazione: stesso Paese, atteggiamento positivo, risultato positivo. Se mi impegno di più, se ci credo davvero, riuscirò.

Ma… ci sono momenti di maggiore lucidità in cui mi rendo conto che no, non funziona così. Non basta rimboccarsi le maniche con rinnovata fiducia, buona volontà e raziocinio se l’Italia stessa non cambia atteggiamento nei miei confronti. Nei confronti di tutti i suoi abitanti. Dei suoi cittadini.

[continua]

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