“Conversazione su Dante” di Osip Mandel’stam

gennaio 7, 2016 in Recensioni da Piera Maculotti

conversazioni su danteIl Trecento italiano e il Novecento sovietico. Lontani nel tempo e nello spazio, vicini per una speciale affinità storico-esistenziale: l’autore della Divina Commedia è presente e vivo nel cuore del poeta e saggista Osip Mandel’stam, come attesta la sua appassionata Conversazione su Dante (Melangolo – collana Nugae pp.160 € 9).

Il saggio, ricco di riflessioni sulla letteratura, la poesia, la vita, ha una storia assai travagliata: scritto nel 1933, giudicato impubblicabile dal regime sovietico, esce postumo nel 1967; mentre l’autore (nato a Varsavia nel 1891, morto nel 1938 in Siberia e là sepolto in una fossa comune) sarà ufficialmente riabilitato soltanto nel 1987.

La drammatica vicenda bio-bibliografica arricchisce il materiale del denso libretto del Melangolo che offre una traduzione dal testo definitivo pubblicato a Mosca nel 1990.

Mandel’stam ardeva tutto per Dante, così scriveva l’amica Anna Achmatova, la poetessa che con lui condivise l’esperienza acmeista.

L’amore per il grande europeo è un sincero omaggio all’amata letteratura classica italiana (Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso…); è vivo apprezzamento per la nostra lingua (la più dadaistica delle lingue romanze) ma è soprattutto un sentimento di intima fratellanza e profonda condivisione per quel destino – uguale e diverso – d’esilio, esclusione e forzata solitudine.

Una dura condizione di erranza che – per Mandel’stam – è segno d’inquietudine creativa, di perenne tensione ma insieme frutto di una cupa necessità storica. Randagio per vocazione e per costrizione, perseguitato dal regime stalinista, scriverà la sua Conversazione in Crimea tra fame, freddo e paura. Sono anni di trasferimenti forzati, sfratti, divieti; e presto, nel 1934, l’arresto e il confino; poi il carcere e infine il gulag (qui la sera, davanti al fuoco, per consolare i compagni di sventura, recita, quasi cantando, le sue traduzioni di Petrarca).

E nel cuore sempre Dante con quel poliedro a 13.000 facce che è la Commedia (arrotondando per difetto il n. dei versi 14.233). E davvero poliedrica è la figura dell’esule fiorentino che Mandel’stam rilegge e ama: un poveraccio che per tutta la Divina Commedia è incapace di tenere il giusto comportamento; un uomo tormentato, un inetto... È la smarrita goffaggine, il doloroso senso di estraneità che ben conosce lo scrittore russo.

Ma insieme c’è il Dante scultoreo, straordinario creatore di forme, provetto forgiatore di strumenti poetici, autore dello slancio, del volo, del flusso d’energiadi cui dice la Conversazione. L’Alighieri costruisce, entro lo spazio verbale, un organo di una potenza smisurata… si legge ancora, e sentiamo che Mandel’stam si fa rapire dalla musica di quel sommo direttore d’orchestra dell’arte europea che fu, ed è, il nostro Dante.

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