“La corrente”, capitolo 3

febbraio 12, 2015 in Racconti e poesie da Stefano Bottarelli

Sarzana-vicoloSarzana è cittadina di provincia, con quell’aria dimessa e insieme urbana della provincia italiana. Gigliola imboccò uno dei vicoli che portano alla stazione ferroviaria, voleva andare a vedere i treni. Vedere i treni era uno dei suoi gusti preferiti fin dall’infanzia, perché i treni conservavano qualche cosa di primitivo e tecnologico insieme, erano il risultato buono della rivoluzione industriale: mastodontici, roboanti, meccanici, e c’era anche la gente sui i treni, le persone, i viaggiatori, i fischietti dei capistazione, le valigie, i sottopassaggi, le antiche locomotive sorpassate e ancora in funzione, e poi i merci, la polizia ferroviaria: tutto ciò che ineriva al viaggio ferroviario, il viaggio per antonomasia, quello lungo, lontano, vero, partenza e ritorno, con sibili e cigolii di freni, respingenti, annunci ai passeggeri, biglietti da convalidare, signore sudate in ritardo, signorine sole e giovanotti in compagnia: ingredienti indispensabili del Novecento, soprattutto quello anteguerra, di certe cartoline dimenticate negli angoli dei cassetti.

Gigliola entrò nell’atrio e assaporò un altro profumo che amava, quello che sta fra il carbone e il gasolio bruciato tipico di una stazione ferroviaria tra i binari anneriti e gli impianti di servizio. Gli scambi sferragliavano sotto la spinta delle ruote pesanti dei vagoni. L’altoparlante annunciò un treno da La Spezia. Gigliola l’attese con calma, come fosse il suo treno, come se vi dovesse salire, poi lo vide riprendere la corsa verso Livorno, ne intravide la coda perdersi sul fondo cupo dell’estinguersi dei binari, come in un film. Quel treno di passaggio fu un segno del tempo che passa, per Gigliola. Coi capelli ravvivati dalla brezza apuana si aggirava per i binari sola con se stessa, con la propria nostalgia ferroviaria, con il proprio sé rappreso nel golf che la proteggeva da giornate ancora freddolose verso sera. Si fermò davanti ad un signore che si calcava sul capo il cappello floscio da capostazione, inventò una domanda da stazione dei treni: “Ci sono ancora treni per Livorno ?”. L’uomo in divisa la scrutò da fuori degli occhiali, di lato, gli sembrò di ravvedere in quel giovane volto una conoscenza lontana di poco tempo, come un’immagine già presente nei propri viaggi di memoria.

Rispose tranquillamente, con il pensiero al ricordo fisionomista, l’altro lato del pensiero all’orario ferroviario: “Per stamattina è l’ultimo, signorina”. Gigliola rimase interdetta ed allo stesso tempo rassicurata; gli venne tolta d’ufficio la voglia di viaggiare a Livorno e questo la sollevava dall’insidia di un desiderio. Ma era interdetta perché questa sua curiosità per Livorno veniva ostacolata da un fatto tecnico ed allo stesso tempo insormontabile: l’assenza del mezzo che a lei piaceva tanto, il treno. Scopriva però in sé un altro fatto: non era partita da casa verso la stazione per andare a Livorno, e il treno per Livorno non costituiva una scelta cosciente, allo stesso tempo aveva sentito che quella mattina sarebbe stato meglio andarci, chiedendone l’orario al ferroviere, che ora la guardava incuriosito dal suo sbalordimento. Incerta lo salutò ringraziando e si incamminò verso il sottopassaggio pedonale, perché era giunta al quarto binario e voleva tornare alla biglietteria.

binari

La stazione di Sarzana ha un piccolo piazzale antistante, con un pergolato occupato da tavolini di bar sul fondo, come quelle stazione provinciali ancora intatte nella propria natura paesana. Si incamminò per il viale alberato che porta sulla strada principale. Si sentiva diversa, un po’ strana, perché ripensava alla decisione di partire con il treno, che non era stata una decisione cosciente ma un improvviso desiderio supportato dalla ricerca di informazioni al ferroviere. Sentiva che se il treno ci fosse stato sarebbe salita, dopo aver acquistato il biglietto, e quella giornata sarebbe stata passata più a sud. Gigliola stava cambiando, Gigliola stava decidendo senza decidere, Gigliola si sentiva più insicura ed alle stesso tempo più leggera; ma non era più quella leggerezza che aveva provato a Punta Corvo, tra i passeri ignari e la sabbia trita dal respiro del mare. Era la leggerezza di colei che sa di più della vita e che allo stesso tempo, della vita ha perso un attimo.

Nello straniamento che Gigliola provava quel giorno, qualche idea però non si era confusa. Sapeva di essere Gigliola, di essere a Sarzana. Invece non si ricordava cosa voleva dalla vita, mentre prima tutto era chiaro, lampante, a scelta sicura. Un senso di sospensione generale delle cose e delle persone, ma di lei per prima, la agitava dentro, camminava in quell’aria quasi estiva ma ancora rappresa in un sentimento di mitezza quasi autunnale; guardava i negozi, le persone, guardava i cani al guinzaglio, i bambini, i colori sparsi alla vista, i giornali all’edicola, trasportata nell’ansia di conoscere qualche cosa di nuovo, di perfetto, di soddisfacente.

Le venne un desiderio ineludibile di rivedere il mare. Doveva vedere il mare.

S’incamminò verso la fermata dell’autobus.

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