Mare, cielo e tre oceani

aprile 19, 2024 in Approfondimenti, Recensioni da Roberto Colli

Copertina MoitessierTra il 1932 e il 1968 passano solo 36 anni, ma tutto è cambiato in un tempo così breve, fra le molte cose, anche la navigazione non solo a motore, ma a vela, per uomini e donne (penso a Ida Castiglioni, la prima italiana che attraversò l’Atlantico in solitario) che non possono fare a meno del vento e del mare, i quali non sono oggetti, ma, come scrive il marinaio Francesco Geraci: Non si può raccontare il mare a chi vede solo acqua.

Nel 2001 l’editrice Nutrimenti, nella Collana del mare, ha pubblicato Lorenzo Bono, Tre oceani. Il primo giro del mondo di un velista italiano. Era un’impresa quasi sconosciuta quella di Francesco Aurelio Geraci, un ufficiale di marina che circumnavigò il globo con una goletta di soli 10 m.

Ora la BUR ha ripubblicato, a trent’anni dalla morte, il libro più importante di Bernard Moitessier, La lunga rotta. Solo tra mare e cielo.

Due storie di innamorati di mare e vela, senza motore, senza radio per l’italiano.

Copertina BonoPoi cominciano le differenze tra le due epoche, i due uomini, il loro scritto: quello di Moitessier è quasi un romanzo, ricco di osservazioni e meditazioni personali, quello di Geraci è il diario di un marinaio, preciso e senza romanticismi. Lorenzo Bono l’ha trovato presso i suoi eredi e cucito attraverso ricerche d’archivio.

La barca di Moitessier è un ketch di 12 m con una profonda e pesante chiglia stabilizzatrice, lunga come quasi tutta la barca; il Mas di Geraci ha una minima chiglia forse poco più di 1 m. Sul Joshua Moitessier (il nome della barca è quello di Johsua Slocum che fece 37 anni prima il giro del mondo, e che nel mare scomparve) naviga solo, Geraci con l’aiuto di un giovane marinaio.

Il Joshua ha un timone automatico governabile dall’esterno e dall’interno che permette a Moitessier di dormire, di muoversi liberamente in coperta, di ripararsi dalla pioggia; Geraci ha per timone una barra a poppa, passa all’aperto notti e giorni interi stringendo questa barra tra le mani nelle burrasche e una minima tuga che sfugge al vento, ma in cui si entra poco più che strisciando. La fatica è insopportabile, scrive: Terza notte di tempesta, le onde ci sovrastano, molto più alte degli alberi della goletta. Il buio è quasi totale malgrado sia plenilunio. Solo alzando la testa posso vedere il biancheggiare dei frangenti vicini, sempre più ripidi e incrocianti in tutte le direzioni. La schiuma è spazzolata orizzontalmente dal vento. Il rombo oscuro del mare avvolge tutto. La pioggia violentissima ci sferza dolorosamente.

La-goletta-Mas-con-cui-Francesco-Geraci-primo-italiano-fece-il-giro-del-mondo

La goletta Mas con cui Francesco Geraci, primo italiano, fece il giro del mondo

Moitessier si racconta: La geografia del marinaio non è la stessa del cartografo per il quale un capo è un capo con longitudine e latitudine. Per un marinaio un gran capo è un complesso di scogli, correnti, onde frangenti e mare bello, venti freschi e burrasche, gioie e paure, sogni, mani doloranti, pancia vuota, minuti meravigliosi e sofferenza. Un gran capo ha un’anima con ombre e colori molto dolci, molto violenti, un’anima liscia come quella di un bambino, dura come quella di un criminale. Ci si va per questo.

Moitessier ha un’ottima cerata che lo ripara quando piove; Geraci e il suo marinaio sono invece sempre bagnati perché la loro cerata non tiene. Moitessier non ha problemi di soldi; Geraci, a parte i propri, dovrebbe essere rifornito dal Ministero degli Esteri di soldi che non arrivano mai per cui, oltre a molte soste, deve addirittura interrompere la navigazione per recarsi con un vapore a Roma, iscriversi al partito fascista e, con raccomandazioni di amici e gerarchi, avere il denaro per proseguire; a Suez resta fermo due mesi.

Il Joshua di Moitessier

Il Joshua di Moitessier

Moitessier parte dall’Inghilterra, fa il giro del mondo ma non torna a ritirare il premio messo in palio dal Sunday Times per i primi arrivati, preferisce continuare a navigare per essere felice. Geraci naviga anche per migliorare la propria posizione professionale, per avere “un più ampio respiro”, e nel mare accetta la profonda irrequietezza che lo teneva a terra. Il loro viaggio ricorda due romanzi di Joseph Conrad: Tifone e La linea d’ombra; in quest’ultimo un marinaio lascia la nave a motore per tornare ad una a vela, un simbolo immortale.

La goletta di Geraci è leggera e viene appesantita perché non si rovesci. Moitessier butta a mare continuamente il materiale a bordo per rendere il Joshua, che è d’acciaio, più veloce. Moitessier raccoglie l’acqua piovana con un secchio e un bugliolo appesi alla randa, Geraci deve fermarsi per rifornirsi d’acqua.

La rotta è diversa. Moitessier parte nella regata da Plymoutht e naviga verso est: capo di Buona Speranza, capo Leewvn a sud della Tasmania, capo Horn. Incontra onde violente che per tre volte fanno scuffiare il Joshua. Le scuffie avvengono quando le onde, spesso incrociandosi colgono la barca di poppa, la alzano e la fanno precipitare nel cavo in una discesa paurosa e violenta. Le stesse onde le incontra Geraci, ma la sua barca di legno, leggera e quasi priva di pescaggio, lascia passare l’onda anche se ne è sovrastata, e quando è accompagnata dai temporali blocca il respiro. In alcune burrasche le barche si mettono alla cappa, e Geraci fa cadere sacchi d’olio in acqua per rallentare la forza dell’onda, un sistema superato, anche se i manuali lo riportano ancora.

Geraci prende il punto nave col sestante

Geraci prende il punto nave col sestante

La sua rotta è verso ovest e quasi equatoriale: il canale di Panama, il Pacifico, poi a nord dell’Australia, Java, il mar Rosso, il canale di Suez, Roma. Con il suo basso pescaggio può fermarsi a una spiaggia, fare scorte e riparazioni, conoscere indigeni e ambasciatori. sparare per allontanare i pirati, incontrare cannibali.

Moitessier deve destreggiarsi tra banchi di corallo nelle zone equatoriali e isolette insidiose a capo Horn al limite dei ghiacci. Ambedue si nutrono di pesci, adorano pesci volanti, delfini e gabbiani, ma il Joshua si trova anche circondato da squali che si strofinano sulla chiglia per mangiare quanto il mare vi ha incollato.

Tuttavia hanno un elemento comune: l’odio a Samoa e alle Fiji per “la brutalità” degli americani; le isole sono impeccabili, ma artificiali, grandi magazzini, affari e denaro, tutto è costoso, rumore, confusione, automobili.

È il mondo moderno, è il momento di cambiare anche la rotta della vita.

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