L’Aquila, la città delle 99 gru

ottobre 11, 2016 in Approfondimenti, Crisi da Sonia Trovato

IMG_2971«Se vuoi vedere come sta messa davvero L’Aquila, devi andare nei vicoli interni e non nelle strade degli avvocati e dei notai». Queste parole secche vengono da Marilena, una donna smilza con il viso bruciato dal sole e un cornetto all’amarena in mano. Quando capisce che a L’Aquila sono capitata praticamente per caso e che non appartengo alla categoria dei giornalisti che lei definisce «mordi e fuggi», appare subito conciliante e disposta a condividere con me il proprio pellegrinaggio quotidiano tra le macerie aquilane. 

«Sette anni fa vivevo qui» sussurra, indicando un generico punto in direzione di quel resta dell’Università. «Ora sto a venti chilometri, ma vengo in centro ogni giorno per vedere i progressi della ricostruzione. Guardo, fotografo e archivio. Potrei farti vedere lo stato di ogni palazzo». «Stai nelle case di Berlusconi?» – «Magari!» risponde, con uno sguardo pronto ad accogliere obiezioni alle quali invece decido di rinunciare.

Marilena è una delle decine di migliaia di persone che la notte del 6 aprile 2009 vide la propria casa sgretolarsiIMG_2987 sotto il peso di una scossa di magnitudo 5.8. «Questa città era un vero gioiello e guarda cos’è ora», proclama, con la voce quasi rotta dal pianto. Non è difficile capire al primo sguardo che cosa sia ora L’Aquila: è un cumulo di macerie, di facciate crepate, di palazzi inagibili, di vetri rotti, di zone rosse, di cantieri, di ponteggi, di sacchi pieni di mattoni, di carriole abbandonate accanto a tricolori che hanno quantomeno la decenza di non sventolare. Confesso alla mia guida che, viste le speculazioni politiche di questi sette anni e i 12 miliardi investiti nella ricostruzione, non mi aspettavo questo scioccante scenario postbellico. «Be’ ma prima c’è da spendere per gli avvocati e per i notai, ovviamente. Poi, se rimane qualcosa, si penserà anche alle case della povera gente». In effetti, esplorando le arterie principali della città non si può non constatare come la maggior parte dei palazzi rimessi in piedi e tirati a lucido appartenga alle categorie additate polemicamente da Marilena. «Davvero, chi non ha avuto la fortuna di visitare L’Aquila prima del terremoto si è perso uno splendore che non tornerà mai più». E a questo punto Marilena si chiude in un silenzio impenetrabile, che non mi sento di violare.

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L’Aquila era detta la città delle 99 chiese, delle 99 piazze, delle 99 fontane. Oggi, con cinica ironia, la si potrebbe al massimo definire la città delle 99 gru, che svettano alte e quasi minacciose e che costituiscono una sorta di percorso guidato per chi viene da fuori e cerca il centro storico. Inspiegabilmente, il terremoto non ha interrotto il flusso dei turisti, smaniosi di registrare la propria presenza nella tragedia altrui con un selfie da pubblicare in tempo reale su Instagram. Il luogo più inflazionato è la Casa dello Studente, che la Cassazione ha definito un “castello di IMG_2997carte”, dato che la disarmante facilità con la quale si è sbriciolata ha rivelato il sistema di negligenze e omissioni di chi l’aveva in appalto. Qui si conclude la mia passeggiata con Marilena, di fronte a un cartello che, con un’ipocrisia un po’ melensa, definisce “angeli” gli otto studenti che hanno perso la vita in quest’edificio.

Uscendo dal centro, si è colpiti da file disordinate di palazzine orribili, costruite forse da chi, poche ore dopo il sisma, già pregustava gli appalti, facendosi intercettare al telefono con un agghiacciante «Bisogna partire in quarta subito, non è che c’è un terremoto alIMG_3013 giorno».

A L’Aquila sono capitata l’8 agosto, andando a Tivoli per una mostra. Marilena e gli altri aquilani ancora non sanno che quindici giorni dopo un altro terremoto sconvolgerà il centro-Italia, facendosi sentire nuovamente in questa spossata città, che da vanto del turismo italiano è diventata un’avvilente immagine dell’incuria e della corruzione nostrana.

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