L’Unità: cronaca di una morte annunciata (e incoraggiata)

agosto 9, 2014 in Approfondimenti, Crisi da Sonia Trovato

L’Unità in edicola con sedici pagine bianche.
È lo speciale sulle riforme di Renzi.
(Spinoza.it)

 

IMG_0949“W L’Unità” è una delle scritte apparse sulle palazzine bresciane recentemente ristrutturate in via Monte Nero, accanto a motti come “W Mateotti” (l’incertezza sulle doppie è dell’autore), “W il PCI”, “W il CLN”. Il Comune, ritenendole di rilevanza storica, ha deciso di non coprirle con la colata di giallo che ha ravvivato i condomini. Così, dal 1° agosto, chiunque si trovi a costeggiare questo riscoperto muro della Resistenza non può che sogghignare o commuoversi per il fatto che l’ultimo superstite tra i quattro valori celebrati sia naufragato nei debiti e nel rimbalzino di accuse. Ma è corretto considerare “L’Unità” acclamata dall’ingenuo ed entusiasta militante come la stessa “Unità” che ha chiuso i battenti una decina di giorni fa?

Dovrà essere un giornale di sinistra. Io propongo come titolo “L’Unità” puro e semplice che sarà un significato per gli operai e avrà un significato più generale. Con queste parole Antonio Gramsci portò, nel 1924, a battesimo la propria creatura editoriale. Novant’anni dopo, le stesse parole, poste in epigrafe al penultimo numero del giornale, suonano come marcia funebre a sedici pagine bianche e a un titolo che, a caratteri cubitali, denuncia che “Hanno ucciso L’Unità”. Nell’originale, la citazione era preceduta da un monito scartato, forse per buon gusto, dalla redazione: Il giornale non dovrà avere alcuna indicazione di partito. Proviamo a metterci nei panni dei giornalisti che, alla vigilia della chiusura, hanno ricevuto l’incarico di ispezionare gli archivi del giornale, poiché “se perseveriamo da anni con la litania che L’Unità non può chiudere perché l’ha fondata Antonio Gramsci, dovremo pur sapere che cosa diceva ‘sto Gramsci”. Li immaginiamo brancolanti nel buio, alla disperata ricerca del remoto e polveroso armadio nel quale i figli del PCI hanno chiuso a doppia mandata la figura e le idee dell’autore dei Quaderni dal carcere. Li presumiamo storditi, con la testa affollata di nozioni confuse sull’identità della persona che ha fondato la testata, senza però venire mai nominato dal partito di cui il giornale è organo ufficioso.

Alla fine della spedizione, uno scambio di sguardi disorientati: “Ma come? Noi che replichiamo su carta, ogni giorno, i comandamenti del PD – Beppe Grillo è il male assoluto, Renzi è il nuovo Unto dal Signore e Napolitano ha sempre ragione – possiamo davvero scrivere che il giornale non dovrà avere alcuna indicazione di partito?” Ecco, dunque, i risultati della riesumazione: una frase tagliuzzata e, per l’ultimo numero, l’abusatissimo Odio gli indifferenti, riportato in auge nel 2011 dalle iene Luca e Paolo a Sanremo e, da allora, sulla bocca (e sulla bacheca) di chiunque voglia darsi un tono da intellettuale engagé. La frase avrà sicuramente ottenuto reazione elettrizzata di uno degli ex direttori, quello che, pur militando nel partito da quando portava i calzoni corti, ha affermato che si poteva stare nel PCI senza essere comunisti;  quello che, dopo aver ripetutamente tediato la letteratura con i suoi romanzi melensi, si è dato al cinema impegnato.

hanno ucciso l'unitàProsegl'unità è vivauendo nella riscoperta del pensatore sardo, gli smemorati redattori scoprirebbero che “L’Unità” era stata pensata come il quotidiano degli operai e dei contadini. “Operai e contadini? Cosa c’entrano con noi?” esclamerebbe, sorseggiando un bicchiere di Dom Pérignon dalla sua barca ormeggiata in Costa Smeralda, un altro ex direttore, quello che indicò la Lega come il maggior partito operaio del Nord e come il depositario dell’eredità del PCI; quello che tentò di riformare la Costituzione con un ex piduista che ospitava Cosa Nostra nelle proprie “stalle”.

E, a proposito di pertinenza, gli opinionisti che in questi giorni denunciano la “grave privazione di uno strumento di informazione e di analisi, da sinistra” (cit. Vito Lo Monaco), non ritengono che l’idea di sinistra che aveva in mente Gramsci sia un tantino diversa da  quella espressa da un titolo come “Riforme, Marchionne “tifa” Renzi: «Tenga duro» (23 luglio 2014)? Chi continua a blaterare che è stata soffocata “una voce storica che per anni ha interpretato ed espresso desideri e istanze di milioni di lavoratori” (cit. Geremia Mancini) non pensa che l’oppositore del regime fascista avrebbe dedicato pagine infuocate a un personaggio come Marchionne, che incarna il capitalismo più spietato, la delocalizzazione selvaggia e il disprezzo dei diritti sindacali?

È difficile dunque stabilire la data di morte del giornale fondato da Antonio Gramsci, se sia avvenuta sotto la direzione di Massimo D’Alema o sotto quella di Walter Veltroni; se sia stata accelerata dall’invito alle proprie feste di figuri impresentabili e razzisti come Calderoli, Maroni e Tremonti; se sia stata definitivamente sancita da azionisti come gli Angelucci, affaristi pidiellini, editori di “Libero” e attualmente indagati per frode fiscale. Di sicuro, il quotidiano che, stando alle ultime dichiarazioni del faccendiere Bisignani, sarà salvato da un’importante banca milanese, non ha nulla a che vedere con l’appassionato e lucido intellettuale che si immolò per coerenza e antifascismo.

Quindi, vi supplichiamo, gridate, se volete, al golpe perché “Hanno ucciso L’Unità”, ma smettetela di dire che il giornale fondato da Antonio Gramsci non può chiudere. Se persino Daniela Santanchè si è resa conto che quella che doveva essere una testata di sinistra, una voce del movimento operaio, indipendente dalle indicazioni di partito è diventata una schifezza tale da farle gola, il concetto può essere compreso anche dai cervelli più lenti: il giornale fondato da Antonio Gramsci è morto e sepolto da un pezzo.

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