L’uomo con la valigia di nuvole (capitoli 1 e 2)

novembre 11, 2013 in Racconti e poesie da Andrea Zucchini

1. LA STRADA

Alle 7.15 l’uomo con la valigia piena di nuvole uscì di casa, puntualmente in ritardo. A Milano il sole stava per fare capolino e il selciato, ancora bagnato dalla pulizia notturna, appariva scivoloso e viscido. Con passo affrettato l’uomo si diresse verso la fermata del tram vicino a Porta Venezia. Doveva prendere il 34 ma sapeva bene in cuor suo che probabilmente l’aveva perso.

Infatti non vide le solite facce sconosciute o conosciute a malapena in occasione di qualche sciopero dell’ATM. Allora sì! i commenti si sprecavano sulla qualità del servizio dell’azienda di trasporti. Una  signora lamentava che ormai l’appuntamento programmato le era saltato. Lucia, la ragazza designer con il cappello e la sciarpa colorata che tutti sapevano sarebbe arrivata in ritardo al lavoro.

L’uomo, con sguardo rassegnato, scrutò un attimo la fermata deserta e si decise: avrebbe fatto la strada a piedi. Passò davanti alla solita edicola dove da qualche tempo comprava il “Corriere” e “Il Sole”, ma questa volta non si fermò a parlare con Mario, il giornalaio. Ormai si davano del tu, si conoscevano da tre anni, da quando l’uomo della valigia aveva accettato di trasferirsi a Milano per lavoro, andando ad abitare vicino all’edicola.

Si lasciò alle spalle i Bastioni monumentali di Porta Venezia che fino a qualche ora prima si erano colorati di rosa e di blu ravvivando la piazza durante la notte e imboccò con passo deciso il viale alberato in direzione della stazione Centrale. Il panettiere profumava l’aria circostante con l’aroma del pane appena sfornato. All’uomo, che non aveva fatto colazione, venne voglia di entrare e comprare il pane per il viaggio e magari qualcosa da bere, ma rinunciò dopo aver guardato l’orologio, avrebbe comprato qualcosa in Centrale.

Un po’ di aria muoveva le foglie sul selciato, qualche passante infreddolito con il bavero della giacca tirato alle orecchie andava di fretta, qualche altro sgambava tranquillo qualche passo più avanti, ancora intorpidito dal sonno e con lo sguardo assente.

Ancora due vie e poi la strada sarebbe stata tutta dritta fino alla stazione. L’uomo accelerò il passo. La gente ora iniziava ad aumentare, e si vedevano gli spazzini che stavano ultimando la pulizia delle strade.

Il sole illuminò la piazza con la sua luce calda di sbieco ancora gialla. I tassì erano pronti ad aspettare le clienti straniere e i marocchini disoccupati iniziavano ad occupare i muretti a contorno delle aiuole. Il Mc Donald’s apriva proprio in quel momento. Entrò in stazione. Passò l’atrio enorme delle biglietterie e prese la scala mobile.

In stazione non c’era mai pace, i pendolari sempre di corsa scendevano dai vagoni ed imboccavano le scale che portavano alla metropolitana. I caffè cominciavano a riempirsi. L’uomo guardò ancora l’orologio, le 7.50 e si rilassò. Il suo treno sarebbe partito tra venti minuti, aveva tempo per fare colazione. In fondo alla sala monumentale si intravedeva il Caffè. Il giornalaio che vendeva di tutto aveva sempre clienti: “chissà quanto guadagna quello!” pensò, passando di fianco all’edicola. Ripensandoci tornò sui suoi passi e comprò anche lui un giornale. Il viaggio che doveva fare non era breve e qualcosa da leggere lo avrebbe sicuramente aiutato. Entrò nel caffè Tonoli. Decise di concedersi questo lusso, sapeva che costava di più ma era goloso e non voleva partire a stomaco vuoto. C’era un po’ di gente prima di lui, più che altro gli ignari turisti che si sarebbero accorti alla fine quanto gli sarebbe costato, ma a dire la verità di brioche buone come quelle che vendevano lì, ancora tiepide, a Milano era difficile trovarne.

Due ragazze con i sandali a piedi scalzi e zaino davanti a lui chiesero con accento britannico due caffè. L’uomo smilzo con i capelli neri ricci che se ne stava quasi indifferente in parte alla fila chiese cappuccio e cornetto, e finalmente toccò all’uomo con la valigia piena di nuvole. Anche lui chiese la stessa cosa: “Che fantasia” pensò, ridendo tra sé per la banalità che aveva appena pensata. Si sedette all’unico tavolino rimasto libero, le due ragazze erano sedute al bancone, e l’uomo coi capelli neri era sparito. Il tavolino era rotondo con una tovaglietta scozzese a quadri di lana grezza. Non era per niente pulito. Si vedevano chiaramente le briciole degli avventori che l’avevano preceduto e qualche puntino bianco, di zucchero. A quell’ora in Centrale, chi lavorava aveva ben poco tempo per distrarsi e capitava sovente che la pulizia non fosse eccezionale. L’uomo pagò e uscì dirigendosi verso il passaggio che collegava l’enorme atrio con i negozi alla zona di accesso ai binari. Una comitiva di tedeschi sulla quarantina stava scrutando l’enorme tabellone delle partenze in cerca della Freccia bianca per Venezia. Passò oltre ed entrò. Intanto la “voce dell’uomo delle ferrovie” incalzava i viaggiatori annunciando treni in partenza e treni  in arrivo.

“La voce” ormai gli era familiare, come alle persone che lo circondavano, ma ad un forestiero che fosse capitato per forza a transitare per Milano la “voce” sarebbe sembrata sicuramente poco umana, con l’eco che ribatteva sotto le arcate di ferro e vetro, amplificata dagli enormi altoparlanti impolverati installati trent’anni prima.

Il treno in arrivo da Bologna era in ritardo di trenta minuti: “che novità!” pensò, “se non si decidono a sistemare la rete ferroviaria ogni giorno sarà così”. Mentre ci pensava arrivò al binario 25, il binario morto.

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2. IL BINARIO MORTO

Il binario morto non era morto del tutto. Per i normali viaggiatori e il personale delle Ferrovie il binario 25 non poteva essere usato. La verifica tecnica degli anni ’70 aveva dichiarato che causa evidenti infiltrazioni d’acqua e la mancata messa in sicurezza del ponte che sorregge la linea appena fuori dalla stazione, la suddetta linea non può ritenersi sufficientemente stabile negando l’agibilità ed il conseguente utilizzo. Sarebbe costato troppo sistemarlo e l’azienda nazionale, sappiamo tutti, aveva priorità maggiori a cui pensare, tra cui risanare il bilancio.

Questo per le persone normali, ma lui non lo era.

L’uomo con la valigia si toccò la tasca interna della giacca per sentire al tatto il suo biglietto, aveva da sempre paura di dimenticarlo a casa. Una sola volta gli era capitato di lasciarlo sul tavolo della cucina, ma per fortuna se ne era accorto appena sceso in strada.

Il treno arrivò alle 8.12 al  binario 25 stridendo. Il locomotore mostrava fieramente le due bande rosse lungo i lati, scolorite dal sole e dallo sporco, tre grossi fanali gialli ed il vetro della cabina di comando, nero.

Vide lungo la banchina uomini e donne a distanza più o meno regolare; gli uomini col cappello a falde e l’impermeabile, le donne con foulard al collo e gonne a pieghe lunghe fino al ginocchio. Molti con una borsa di pelle, chi a tracolla, chi a mano, chi per terra appoggiata alla caviglia. Si aprirono le porte, scesero tanti viaggiatori quante le persone che aspettavano il treno.

“Era il cambio turno” pensò l’uomo e d’istinto, appena scese l’ultima ragazza, salì i due gradini entrando nel piccolo atrio della carrozza. Fece due passi e si fermò, lasciando salire le altre persone. Tirò fuori il biglietto che gli aveva dato l’agenzia e controllò il numero, 4 – 23. Il 4 era la carrozza e 23 il posto a sedere. La carrozza era giusta. Come sempre la prima carrozza ad entrare in stazione è l’ultima ad uscirne, e il treno, quel treno, aveva solo quattro carrozze. Il posto 23 non era vicino al finestrino ma era quello di fianco, in uno scompartimento composto da quattro posti. Si sedette. Passò la lingua fra le labbra, la bocca aveva ancora il sapore del cappuccino. Stava bene, il caldo della carrozza aiutava l’uomo a ritrovare il sonno che aveva dovuto lasciare una buona ora prima. Si sistemò il poggiatesta e si rilassò.

Restò in quella posizione qualche minuto, intanto il treno continuava a riempirsi. Dal finestrino vide passare tre uomini gemelli sulla banchina, ognuno di loro teneva la valigia di pelle in posizione diversa rispetto agli altri due; il primo teneva la borsa in mano sul fianco destro, il secondo a tracolla lasciando le mani libere per tenere il giornale, il terzo con noncuranza portava la valigia tenendola sulla spalla sinistra. Non pesavano poi tanto le valigie di quei viaggiatori, ma tutti sapevano che il loro contenuto era delicato e particolare. Gli uomini salirono sulla carrozza e gli passarono a fianco. Con un cenno salutò il trio che rispose all’unisono “Buongiorno!”.

“Ecco i fratelli Lerkess, sempre insieme, sempre in ritardo, sempre educati” pensò. I gemelli erano tedeschi, avevano 34 anni e si chiamavano Karl, Joseph e Georg, anche loro trasferiti a Milano per lavoro. Infatti è da Milano che sarebbe partito il treno, non ce n’erano altri nel mondo che facevano quel servizio… il servizio.

Con nonchalance si sporse  per dare un’occhiata al vagone. Non si era riempito molto e di questo era felice, viaggiare con troppe persone non gli piaceva, anche se i posti erano tutti prenotati ed erano per forza tutti a sedere. Entrarono ancora due persone, una donna nervosa e un uomo sportivo in grigio. Controllarono il numero del posto a sedere e sistemarono  le valigie sulle grate sopra i finestrini. Si tolsero le giacche e si sedettero poco più avanti.

Aveva riconosciuto la donna.

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