Quando la fuga dei “cervelli” è una manna dal cielo

gennaio 6, 2015 in Approfondimenti, Satira da Sonia Trovato

latestF. ha 32 anni, è pugliese e, così dichiara, fa l’avvocato/professore universitario/traduttore/consulente legale per le maggiori (e imprecisate) aziende del mondo. Sbandiera i suoi titoli accademici in continuazione: si è laureato a tempo record, ha svolto un master in Canada e una serie di progetti finanziati dall’Unione Europea, ovviamente pronunciati in un inglese affettatissimo. Quando gli dici che attualmente sei dottoranda, non manca di farti sapere, con aria un po’ annoiata, che l’hanno conteso quattro università di quattro Stati diversi, ma ha rifiutato, perché «è uno stipendio da fame e io sono per il massimo profitto con il minimo sforzo». Quando gli confessi che non hai la minima idea di quello che farai dopo e che ti basta trovare un lavoro normale e con uno stipendio dignitoso, ti guarda come se fossi matta e ti sbatte in faccia una frase che tanto piacerebbe all’ex ministra Fornero: «Non essere pigra, chi si ferma è perduto. Perché non vai all’estero?». 

Mentre l’aereo decolla e l’hostess illustra le norme sulla sicurezza, F., non mancando di fare un commento sprezzante sul fatto che la bellezza delle donne dell’est sia direttamente proporzionale alla loro disponibilità sessuale, inizia a millantare una serie di denunce fatte a: Ryanair perché risparmia sul carburante; Wizz Air perché non dà gli annunci anche in italiano, violando i diritti dei consumatori; la dogana svizzera per razzismo; infine – e questa è la migliore – il responsabile aeroportuale britannico per discriminazione razziale verso gli italiani meridionali.

Stai per fingere un attacco narcolettico sperando che il delirio mitomane sia finito, e invece eccola, l’affermazione che ti fa desiderare che il finestrino si rompa e che F. si perda per sempre nella più remota galassia: «Guarda, io non sono razzista, ma…». E parte con un repertorio di logori luoghi comuni in salsa legista e fascista. «Ma noi italiani all’estero veniamo trattati male, mentre in Italia agli immigrati danno 40 euro al giorno e stanno in pensioni di lusso». Tu: «guarda che sta storia dei 40 euro al giorno è una supercazzata e quelle che tu chiami pensioni di lusso sono i CIE, posti da incubo dove gli immigrati vengono trattati peggio di bestie da soma. Hai letto l’inchiesta di Gatti sul CIE di Lampedusa?». Risposta: “Gatti chi, quello che ha assassinato gli zii?» – «No, parlo di Fabrizio Gatti, il giornalista dell’Espresso, quello credo si chiami Guglielmo……».

D’altronde F., lo dichiara orgoglioso, non ha mai letto i giornali, perché «sono tutti al servizio degli ipocriti corrotti del Nuovo Ordine Mondiale. E ho votato una sola volta, a 18 anni, Alleanza Nazionale». (Finestrino rompiti, finestrino rompiti!!!!). E continua: «Mia mamma ora vota Salvini, perché è contrario all’euro e contro l’invasione degli immigrati, ma a me non convince del tutto». Sbotti: «Tua mamma è pugliese e vota Salvini?». Ma su questo punto F. abbozza. E insiste sulla bufala degli stranieri strapagati in pensioni di lusso: «Giuro che è vero, me l’ha detto un impiegato della mia città ed era uscito il servizio anche sulle Iene, che comunque sono una delle poche voci libere dell’informazione italiana». (Risata che non riesci più a trattenere).

Scusate-se-non-siamo-affogatiMa il tono beota che F. ha avuto finora si piega in una voce arrogante e rancorosa: «Come può non indignarti che i nostri nonni abbiano pensioni da fame e che questi negri vengano da noi a fare la bella vita e a grattarsi la pancia? Chi glielo fa fare di cercarsi un lavoro, quando vengono mantenuti dallo Stato?». Anche tu abbandoni l’atteggiamento conciliante di prima: «Cioè, fammi capire, una persona fugge dalla miseria o da una guerra, impiega anni per traversate pericolossime su barconi fatiscenti solo per farsi mantenere per qualche tempo dallo Stato italiano in attesa di essere rimpatriato, dato che proprio all’espulsione sono finalizzati i CIE?». La sua risposta ti tramortisce: «No, infatti questi stanno qui sei mesi a fare i signori, poi vengono rispediti nei propri Paesi e tornano dopo un po’ in Italia con un altro nome per rifare la stessa cosa. Comodo eh, così possono permettersi di non lavorare mai».

Come spiegargli, a questo punto, che la sua laurea in Legge la può gettare nel fuoco, se nemmeno sa che gli immigrati che arrivano in Italia devono sottoporsi all’umiliante iter delle impronte digitali e che quindi non basta dare un nome falso per rientrare sotto smentite spoglie? Come dirgli che i suoi (millantati) titoli accademici sono carta igienica, visto che studiare non gli è servito ad affrancarsi dal senso comune e dall’etnocentrismo più arrogante? Credendo che il tuo silenzio equivalga a una sua vittoria, si lancia, rilassato, in una discussione sul duty free e sulla quantità di Hugo Boss o di Paco Rabanne che è riuscito ad acquistare in volo a prezzi vantaggiosi. «Ma tu cosa fai? Dove lavori?», gli chiedi, interrompendo la sua lista di profumi. «Lavoro in Svizzera da qualche mese, ma ho intenzione di restare. Non tornerò più in Italia, a spaccarmi la schiena per briciole come 1300 euro (sic)».

E allora non puoi non pensare che nelle statistiche sulle fughe dei cervelli rientrano anche cervelli come il suo, cervellini microscopici, ricoperti da una coltre di livore, odio e pregiudizi stantii, cervelli che sei lieta di cedere alla Svizzera o a qualunque altro Paese sia felice di ospitare questi carrieristi rampanti che, troppo impegnati a passare le vacanze invernali a Cortina e quelle estive nei villaggi di plastica di Sharm el- Sheikh, non si sono ancora accorti che la società multietnica che paventano esiste già da una ventina d’anni.

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