Se questa è una tregua

settembre 5, 2014 in Approfondimenti, Palestina da Sonia Trovato

  *Adattamento dell’intervento che l’autrice ha tenuto alla festa provinciale di SEL a Brescia, durante un incontro con il deputato Franco Bordo e con Titi Amin, rappresentante dell’Associazione Amicizia Italia-Palestina.
padre e figlio

Vivere, da quasi settant’anni, una tragedia che non ha eguali nel mondo, nella pressoché totale indifferenza del mondo “civile”: è questo il triste primato toccato in sorte ai palestinesi. Tragedia che sta attraversando uno dei suoi momenti più drammatici, di fronte al quale viene meno qualsiasi illusione per un imminente scenario di pace. Così è per la Cisgiordania – i ”Territori occupati” dal 1967 –, dove i palestinesi sono sottoposti a un durissimo regime militare, che impone loro la costante umiliazione di 630 checkpoint, di un muro di oltre 700 chilometri che ruba acqua e terra, delle politiche d’apartheid, degli insediamenti illegali abitati da coloni violenti e fanatici, protetti da un esercito che è diventato una vera e propria milizia privata. Così è per Gaza, uno stretto, strettissimo, carcere a cielo aperto, che si estende tra il valico israeliano e il valico egiziano, tenendo in ostaggio quasi due milioni di persone, impossibilitate a lasciare la Striscia, a viaggiare, a pescare, a coltivare, a esportare i propri prodotti. Dai famosi tunnel che la bellicosa macchina di disinformatia israeliana ha indicato come la massima espressione del terrorismo islamico passavano cibo, acqua, carburante, animali per l’allevamento http://ilmfeed.com/10-things-you-wouldnt-expect-in-gaza-terror-tunnel/. Averli distrutti senza aver posto fine all’embargo e all’assedio significa aver condannato i gazawi a morire di fame. E significa aspettarsi che altri tunnel vengano costruiti presto.

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I festeggiamenti a Gaza dopo l’annuncio della fine dei bombardamenti

Per questo, dopo che il sollievo e la grande commozione per i festeggiamenti gazawi hanno ceduto il passo alla lucidità, è inverosimile pensare che dal “cessate il fuoco” firmato il 26 agosto possa emergere una concreta prospettiva di cambiamento per la Palestina. Non una delle condizioni poste da Hamas per una tregua di dieci anni è stata accettata: non la ricostruzione del porto, non quella dell’aeroporto, non la liberazione dei prigionieri politici palestinesi. Il controllo del valico di Rafah da parte della Guardia presidenziale di Abu Mazen era stato discusso precedentemente, durante lo storico accordo, siglato da Hamas e Al Fatah, per la creazione di un governo di unità nazionale, e, pertanto, non può essere considerato una vittoria della resistenza palestinese, ma, se proprio, della diplomazia dell’ANP. Si teme, oltretutto, che l’apertura della frontiera tra Gaza e l’Egitto sia temporanea e serva solo a far entrare aiuti umanitari e materiali per la ricostruzione. Quanto all’estensione delle miglia navigabili dai pescatori gazawi, gli Accordi di Oslo ne sancivano 20, mentre il diritto internazionale stabilisce che debbano essere almeno 12. Israele, dalle 3 miglia, è arrivato a concederne 6. Israele non rispetta il diritto internazionale e gli accordi che ha firmato vent’anni fa e si dovrebbe considerare questo Israele un po’ meno illegale di prima come una vittoria della resistenza palestinese? Come ha giustamente scritto Michele Giorgio, dopo oltre 2000 morti, 11 mila feriti, 400 mila sfollati, 89 famiglie completamente sterminate, più di 1000 minorenni disabili permanenti, 1800 orfani – è una lunga serie di numeri terrificanti che potrebbe continuare per pagine e pagine – alla fine Hamas ha ottenuto solo qualche cambiamento cosmetico, dietro cui si cela una situazione identica a quella antecedente all’8 luglio http://www.dirittiglobali.it/2014/08/gaza-ottiene-tregua-non-liberta/. Dal 1948 ad oggi, si è perso il conto delle occasioni diplomatiche in cui Israele ha ricevuto il plauso della comunità internazionale per il riconoscimento di diritti che i palestinesi avevano già conquistato! Diritti di cui lo Stato della stella a sei punte fa sistematicamente carta straccia, salvo ricollocarli a proprio piacimento sul tavolo dei negoziati, spacciandoli per generosissime e nuove concessioni, per poi, a telecamere spente, tornare ad infischiarsene.

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Altra immagine dei festeggiamenti nel mare di Gaza

Tra un mese verranno discussi i punti elencati prima (porto, aeroporto, prigionieri), ma è altamente improbabile che un governo di destra come quello di Netanyahu – Netanyahu che in 51 giorni è precipitato nei sondaggi, dall’82% al 38%, non a causa dell’offensiva, ma perché, secondo l’opinione pubblica e secondo la sponda più intransigente e fascista del suo esecutivo, l’offensiva non è stata abbastanza “offensiva” e non è riuscita nell’intento di debellare definitivamente Hamas – accetti di porre fine all’assedio a Gaza e all’occupazione della Cisgiordania. E difatti, è di pochi giorni fa la notizia dell’ennesimo esproprio di un edificio palestinese a Gerusalemme per costruire una scuola ebraica http://nena-news.it/gerusalemme-nuova-colonia-israeliana-nel-cuore-di-sheikh-jarrah/.

Anche Israele ha avuto delle perdite economiche ingenti, dovute soprattutto alla fuga dei turisti. Ma Israele si rifarà delle perdite con – inquietanti paradossi dell’embargo! – i  guadagni della ricostruzione di Gaza e con la vendita delle armi testate sui gazawi, vendita iniziata già a offensiva in corso http://nena-news.it/gia-vendita-le-armi-israeliane-testate-su-gaza/. La popolazione palestinese invece impiegherà, secondo la stima dell’ONU, almeno 15 anni a rimettersi in piedi, sempre che nel frattempo non intervenga una nuova offensiva a distruggere ciò che è appena stato ricostruito.

 Dopo l’annuncio del “cessate il fuoco”, Israele e Palestina sono scomparsi dall’agenda setting delle principali testate giornalistiche e televisive. Vi torneranno segaza-Beit-Lahiya_3004604b e quando Israele denuncerà al mondo una propria vittima. Vi torneranno se e quando la resistenza palestinese lancerà un razzo dalla Striscia. E allora, già immaginiamo gli opinionisti e i capi di Stato strillare che “però questi palestinesi violano sempre la tregua e Israele, anche se esagera, ha diritto a difendersi”. Tutto quello che accade tra questo esilissimo accordo di “cessate il fuoco” e il primo razzo lanciato da un popolo che lotta per la propria autodeterminazione rimarrà ignoto ai più. Così sarà probabilmente per i piani edilizi per la creazione di nuove colonie. Così sarà per l’anziano dottor Yousef Abdul Haq, militante del Fronte Popolare, arrestato a Nablus a fine agosto e andato a ingrossare le fila dei 7000 detenuti palestinesi che affollano le carceri di Tel Aviv http://reteitalianaism.it/public_html/index.php/2014/09/01/urgente-attivisti-del-solidarity-movement-for-free-palestine-rapiti-dallesercito-israeliano/. Così sarà per i raid notturni e per vicende terrificanti come quella del giovane Waaled e di tutti gli altri bambini cui è negato il diritto all’infanzia http://samanthacomizzoli.blogspot.it/2014/09/waleed-il-bambino-che-sorride-per.html. Così sarà per il blocco su Gaza. Tutti fatti ignoti di una tragedia dimenticata, che si guadagna le prime pagine solo quando le vittime, stanche di attendere invano che cada la cortina di silenzio, esplodono e tentano, con qualche pietra e con degli ordigni rudimentali, di tenere testa a una macchina da guerra tra le più potenti al mondo.

AGGIORNAMENTO: Ci dispiace constatare l’esattezza delle nostre previsioni e continuiamo a sperare che qualcuno si decida a far la voce grossa con l’esecutivo israeliano, ma Netanyahu ha dichiarato che potrebbe non presentarsi al Cairo per proseguire i negoziati http://nena-news.it/gaza-netanyahu-non-andremo-al-cairo/. D’altro canto, la recentissima confisca di 400 ettari di terra palestinese tra Hebron e Betlemme, che il primo ministro ha sventolato come trofeo ai coloni per far loro abbassare i forconi, ha chiarito perfettamente con quale spirito Israele intenda condurre queste nuove trattative http://www.bocchescucite.org/colonizzazione-di-guerra/.

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