In principio era la danza, in principio era Dioniso
marzo 6, 2025 in Approfondimenti, Recensioni da Mario Baldoli
Lei dice: ti pianto in asso. E io penso a Teseo. Quel dongiovanni ha piantato a Nasso petrosa, l’innamorata Arianna, che pure l’aveva aiutato ad uccidere il Minotauro: una faccenda più grave della mia. Ma Arianna si è ripresa in fretta.
Un caotico rumore di cimbali, flauti e timpani le si avvicina, cresce: arriva il carro di Dioniso, una barcaccia tirata dagli animali da lui prediletti, le pantere (ma amava anche capre e tori per le specifiche sessualità), un carro seguito da donne che gridano felici in preda a un furore sfrenato: ebbre e folli, danze e girotondi (v. Euripide, Le Baccanti).
Appena la vede, il dio sposa Arianna.
Ritroviamo quel carro che si sposta da Tebe al monte Parnaso. Lungo il percorso la vicinanza di Dioniso afferra e possiede, nei paesi che attraversa le donne lasciano le case, invasate dal dio, s’iniziano ai misteri di una natura selvaggia.

Menadi danzanti
Le Menadi, come sono genericamente chiamate, corrono pazze sul monte, hanno serpenti intorno alla vita, allattano cuccioli di lupo, Dilaniano animali ancora vivi, smembrano un orso gigantesco, sradicano antiche piante, graffiano il terreno e ne traggono latte, dal suolo zampillano fonti che nutrono e le rendono ebbre, le rocce si aprono e fanno sgorgare ruscelli.
È lo sfrenato flusso di vita che tutto sommerge.
Resistervi? Le tre figlie di Menia che non volevano cedere, subito il dio le indusse alla pazzia e all’infanticidio.
Penteo re di Tebe, da buon guardone, segue quelle donne, è scoperto e fatto a pezzi dalla madre che non lo riconosce.
Perché quell’eccitazione inaudita e quel profondo estraniamento? Scrive Walter Otto in, Dioniso, pubblicato nel 1933 in Germania e ora da Adelphi, a cura di Gianpietro Moretti: “Il comodo mondo familiare si trasforma, e non in una favola candida e graziosa. È il mondo primigenio che si manifesta, le profondità dell’essere si aprono, salgono in superficie le forme originarie portatrici della verità, una verità che rende folli”.
È questa la parte più nota della leggenda, cui poi si aggiunsero al carro borghesucci cespugli: il piacere inebriante del vino e i satiri arrapati. Dioniso fu trasformato in un Bacco allegro e panciuto, non pericoloso alle famiglie.
Si perse così l’altro volto del dio, perché in Dioniso l’ebbrezza della beatitudine si rovescia anche nella violenza, il terrore, l’orrore. Dioniso è lo spirito selvaggio dei contrasti, la pienezza vitale e la violenza mortale. Lui stesso è fatto a pezzi dai giganti, è ucciso da Perseo, è sceso agli inferi, è fuggito sul fondo del mare. Scompare e riappare, è la duplicità dell’essere, morte e vita, divino e umano.

Cadmo e Armonia
Il doppio è nella sua origine: Zeus s’accoppia con Semele, la figlia di Cadmo e Armonia (R. Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia, Adelphi 1988). Semele ama Zeus e pretende di vederlo, Zeus le appare nell’attimo in cui col fulmine la incenerisce, ma il grande dio salva il figlio non ancora nato cucendolo nella coscia.
Dioniso scaturisce dall’amore di donna e dio, di sesso e fulmine. Di ciò a noi resta una traccia: la tragedia.
Ho ceduto al piacere del racconto, ma il libro di Otto, filologo e studioso di storia delle religioni, è un testo di battaglia. L’autore combatte le comuni interpretazioni dei miti, letti (novant’anni fa come oggi) in prospettiva evoluzionistica, dissolti e ricomposti artificiosamente “ricorrendo a vuote forme di intuizione o sentimento religioso” rese valide per ogni Paese. Suo bersaglio è fra tutti Wilamowitz, l’indiscusso maggior studioso del mito antico, nato una generazione prima della sua, a cavallo di metà Ottocento.
Non esistono per Otto forze esterne o intuizioni individuali che fanno comparire in Grecia i Grandi Dei e via via proseguono, così che del periodo che precede la loro comparsa, che è l’epoca dell’origine della religione greca, “non rimane che il nulla”. In tali studi “il culto vale come genuina testimonianza della fede religiosa, mentre il mito non sarebbe altro che invenzione poetica”. Giudizi che Otto giudica “dominati e accecati dalla sicumera della civiltà tecnica e razionale”.

Michelangelo – Bacco- Firenze, Museo del Bargello
Al contrario “le danze e gli sviluppi del culto sono iniziati e hanno preso forma tramite il contatto con il divino. È la sua presenza ad averli pervasi ed esaltati al punto che più che la postura dell’uomo esaltavano la natura e l’agire del dio stesso”. Non furono gli esseri umani ad entrare nel divino, ma ebbero il dio “così vicino che il loro spirito, sfiorato dal suo alito, fu mosso a una creazione sacra. Crearono la sua immagine con il loro stesso corpo. E la sua essenza vitale si rispecchiò nella solennità dei movimenti ben prima che questo mito prendesse forma espressa e poetica”.
All’inizio era la danza.
Otto nel 1955 vi è tornato con Il corpo umano e la danza, edito da Lindau, a cura di Giovanni Pirari: la danza è l’espressione della parte più profonda e ancestrale del nostro essere, è in relazione con le origini del teatro greco e con i culti dionisiaci: “Se noi consideriamo la danza originaria una forma di presentazione di sé, possiamo e dobbiamo chiederci cosa sia questo sé. Quando l’uomo riesce ad essere appieno ciò che realmente è nel profondo, ovvero vivente forma originaria, egli non è più semplicemente sé stesso – il limite è tolto; è compagno delle essenze e delle potenze dell’essere; è inghiottito nell’eterno, accolto in dio”.
Basta un piccolo passo e quell’alito divino si allunga ad oggi. Scrive James Hillman in Figure del mito, Adelphi 2014, a cura di Joanne Stroud: gli dei sono immortali, sono tra noi, ma non si fanno vedere in una società così marcia in cui gli istinti vanno controllati, la bellezza è triviale, il dolce amore di Afrodite si trasforma in pornografia, rocce e alberi (ricordo il fruscio profetico delle querce di Dodona) non ci parlano più, restano oggetti. La natura delle cose ama nascondersi, diceva Eraclito. E noi non abbiamo più nessun mito. Nessuna società umana può essere governata da un principio unico. Il nostro agire è pianificato dalla prudenza e dalla ragione che non sono universali. Questa tendenza della scienza introduce la necessità di una epistemologia anarchica, ha scritto Paul Feyerabend, nel potente libro Contro il metodo, Feltrinelli 1979 prefaz. Di Giulio Giorello.
Un passo per cogliere Dioniso non solo in noi, ma per sentire la sua eterna turbinosa presenza e quella degli imprevedibili dei.
di Mario Baldoli