Kafka umorista e dongiovanni (7)
marzo 15, 2025 in Approfondimenti, Letteratura da Mario Baldoli

Kafka con Hansi Szokoll
Ci scrivono due lettrici: tanto lavoro critico su Kafka, ma, da quanto sappiamo, Kafka è stato crudele con tutte le donne con cui ha avuto dei rapporti: Hedwig Weiler, Felice Bauer che ha usata letterariamente per cinque anni forse per conoscere a fondo una donna, ma tradì con Grete Bloch. A Riva del Garda in barca con la ragazzina svizzera G.W., l’unica di cui non approfittò, fu innamorato, e quindi non ne scrisse. Poi un fidanzamento senza un filo d’affetto con Julie Wohryzek, che abbandonò brutalmente quando già aveva iniziato un rapporto con Milena Jesenskà. L’ultimo anno di vita sfruttò Dora Diamant con i sacrifici della vita a Berlino, anche se lei ne era felice. E siamo a sei donne, considerando platonico il rapporto con una sconosciuta a Zuckmantel e quello con G.W. Vero che queste donne l’hanno amato (l’unica a capire lui e il suo gioco fu Milena), senza rendersi conto che l’amato era un narcisista gonfio della sua letteratura, con cui non andremmo neppure al cinema, anche per non ricevere 200 lettere inutili.
Le lettrici di G9 hanno posto un problema insolito al quale si può rispondere solo che hanno ragione. Lo mostra anche il fatto che tutti i critici conosciuti di Kafka sono uomini.
All’elenco di donne citate, si devono aggiungere alcune conoscenti che, intervistate dopo la morte di K, essendo sposate e madri, non potevano dire tutto dei loro rapporti, e un buon numero di prostitute, non solo austriache, colte nei viaggi che faceva, con qualche scivolata verso le ragazzine, come ho raccontato nelle puntate precedenti. Quanto alle sei donne che lo amarono, nessuno può sapere se fu un amore soltanto platonico.
Ma lo scrittore si giudica da ciò che ha scritto, in questo caso sulle donne. Kafka è stato grande nei racconti più che nei tre romanzi incompiuti. Nei racconti appaiono pochissime donne e dipendenti da uomini.

La metamorfosi
Nel lungo racconto La metamorfosi, nel finale la sorella, furiosa col fratello, convince padre e madre che il grosso scarabeo che hanno in casa non è Gregor (come abbiamo potuto crederlo?), ma un mostro.
È il passaggio a una comprensione diversa, non più parentale. Il mattino seguente la donna delle pulizie lo trova morto e lo scarica come pattume. Il giorno dopo la famigliola fa una gita fuori porta dove avviene l’ultimo passaggio: la sorella si è trasformata in “una bella e florida giovinetta” pronta da sposare: “nuovi sogni e nuovi propositi, al termine del percorso la ragazza si alzò per prima, stirando le giovani membra”: cito per esteso le ultime righe del famoso racconto, che contrappongono alla vita borghese un sarcasmo feroce. Perché Kafka è anche comico, e non va dimenticato il suo umorismo ebraico-praghese che divertiva gli amici sia quando leggeva qualcosa di suo, sia quando passavano dei giorni di vacanza insieme. Sull’umorismo di Kafka, per citare un po’ a caso e senza completezza, hanno scritto in molti: il prof. Francesco Cataluccio, D.F. Wallace (Considera l’aragosta), Bruno Schulz (Le botteghe color cannella), Giuliano Baioni (Kafka: letteratura e ebraismo), Edoardo Sanguineti, Max Brod, Guido Crespi (Kafka umorista), Renato Barilli (La comicità in Kafka), Milan Kundera (L’arte del romanzo), Maurice Blanchot (Da Kafka a Kafka), Elias Canetti (L’altro processo, le lettere di Kafka a Felice, che rivelano una vasta macchinazione per farsi lasciare dalla fidanzata), Roberto Calasso (K).

Kafka e il padre Hermann
Umorista anche nelle lettere che per la loro vastità e profondità sono parte della sua opera. Le nostre lettrici hanno colto che K. è quasi incapace di descrivere l’innamoramento a scapito di rapporti sessuali immediati. Alcune delle donne che lo amarono lasciarono un segno nella sua arte. Il Verdetto (1912) e Il Processo (1914-15) nascono dal difficile rapporto col padre e dall’incontro con Felice e la rottura del primo fidanzamento. Il fochista (1912), chiamato da Brod Amerika, esplora la comunità yiddish (l’uomo pensa, Dio ride, dice un proverbio ebraico; in effetti Dio si gode un bello spettacolo), su La Metamorfosi (1914-1915) ho già detto, Lettera al padre (1919) torna sul rapporto amore-odio col padre, non esente dal costante riferimento a donne, bordello compreso. Il Castello (1922) deriva dall’amore con Milena cui inviò 150 lettere e incontrò due volte in pochi mesi.
Kafka pubblicò poco in vita: l’ottima traduzione di quelle opere è Osservazione, ed. La vita felice, a cura di Ginevra Quadrio Curzo, testo tedesco a fronte. I suoi scritti furono pubblicati e titolati quasi tutti dall’amico Max Brod che riuscì a salvarli fuggendo con l’ultimo treno non fermato dai nazisti. Brod era stato nominato esecutore testamentario da K. col compito di distruggerli tutti, ma coraggiosamente li salvò. Le date scritte sopra si riferiscono a quando furono scritte. Quanto alle centinaia di lettere, rimangono solo quelle di K., non quelle a lui indirizzate (per altro Felice, quando vendette le lettere che lui le aveva scritto, ne censurò molte, evidentemente andate perdute).
Nel 1921 K. affidò il suo Diario a Milena, l’unica intellettuale, l’unica non ebrea, l’unica che l’aveva realmente capito, benchè il loro amore fosse finito da tempo.
Con questa parte ho finito il lungo viaggio intorno a Kafka, ma temo che, senza mostrarsi, lui continui a spiarci da qualche fessura.