Il mondo lento e variopinto della scuola serale

giugno 27, 2018 in Approfondimenti da Sonia Trovato

gambaraE. è moldava e ama follemente i romanzi storici, Tolstoj e Dostoevskij soprattutto, ma anche Manzoni. “L’addio ai monti di Lucia, prof., è il manifesto di tutti i migranti: tutti quelli che hanno dovuto lasciare il loro paese provano quello che prova Lucia in quel capitolo”. E. frequenta il corso serale di un noto liceo bresciano in cui mi sono diplomata una dozzina di anni fa e che ho varcato nuovamente da insegnante lo scorso settembre. Una sola classe e quattro ore di italiano: un piccolo completamento orario, insomma, che però si è subito configurato come l’esperienza davvero pregnante del mio tortuoso cammino attraverso i cerchi infernali della Terza Fascia. 

Perché di sera a scuola c’è il mondo intero: adolescenti, adolescenti in crisi, madri, padri, donne e uomini soli, commessi, parrucchieri, operai, disoccupati, saldatori, camerieri. Mentre le giornate degli studenti del diurno tutto sommato si somigliano (scuola, smartphone, casa, smartphone, instagram, facciamo-uno-shooting, snapchat), è quasi impossibile che due persone che siedono tra i banchi serali abbiano la stessa giornata da raccontare. Li accomuna quasi sempre un fallimento scolastico da riscattare, che sia di uno o di vent’anni prima, o il senso d’inadeguatezza per una vita un po’ storta da provare a raddrizzare con un diploma.

Al serale non esistono ronde, sorveglianze, telefonate ai genitori, campagne antifumo, minacce e tutti gli altri risvolti della professione che Zerocalcare in un recente fumetto ha definito ironicamente “da sbirro” . Non esiste nemmeno quella catena invisibile che tiene gli studenti legati a sedie su cui non vorrebbero stare e che li porta a vivere la figura dell’insegnante al pari di un crudele carceriere. Al contrario, capita spesso che le lezioni si concludano con moti di riconoscimento o appagamento, perché quell’ora a commentare una poesia di Caproni o a inventare rime alternate è sicuramente più godibile di un’ora da Primark a piegare vestiti o di una routine matrimoniale ormai inceppata. Non esiste la folle rincorsa ai programmi o ai progetti: tutto scorre più lentamente al serale, come se fosse un mondo a sé rispetto alla serrata e frenetica tabella di marcia che regola le attività diurne.

La mancanza di obbligatorietà ha però un rovescio malinconico, ossia un numero elevato di abbandoni scolastici. “Mi sembra di lavorare in una casa di riposo: ogni settimana ne perdiamo uno” ho detto un giorno, cercando di sdrammatizzare il senso di impotenza di fronte a banchi improvvisamente vuoti o a inaspettati annunci di ritiro. Per questo, se di sera mancano gli incarichi da sbirro, è pur vero che alcuni risvolti della professione sono potenziati: psicologo, confidente, confessore, motivatore e talvolta pure l’investigatore.

Per chi rimane, però, le passioni scolastiche sono intense e longeve e arrivano anche alle cene di fine anno:  “Ciao prof. Mi dispiace che non sarai con noi l’anno prossimo. Quando sarò in ferie finirò i Promessi sposi, leggendo anche le parti che abbiamo saltato”.

(A E. e a tutti gli altri volti che hanno reso così piacevole questo secondo anno tra i cerchi infernali della Terza Fascia dico grazie, davvero!, e arrivederci).

Condividi: Email this to someoneShare on FacebookTweet about this on TwitterShare on Google+Pin on Pinterest