Berlusconi & Co. – la morte del tempo

agosto 3, 2013 in Approfondimenti da Claudio Ianni Lucio

Qual è la nostra colpa?

Stiamo pagando i crimini di qualcun altro, oppure i colpevoli sono mere e banali manifestazioni di una mastodontica somma delle nostre mancanze individuali?

Chi di noi ha ucciso il tempo?

Domande simili mi raschiano il cervello, mentre ascolto il discorso del piazzista di Arcore (cit. Indro Montanelli) successivo alla sentenza della Cassazione. È l’ennesimo soliloquio basato sul nulla e agghindato col niente, fatta eccezione per menzogne e assurdità pantagrueliche, di Berlusconi (mi sorprende ogni volta come gli riesca ancora, dopo tutti questi anni, di parlare indefinitamente senza inserire in quel che dice un singolo concetto concreto, nonostante me l’aspetti. Come vuole la prassi, utilizza la parola “comunisti” a mo’ di propellente, ma in Italia nemmeno questo è un concetto concreto. A onor del vero, c’è comunque da riconoscergli la straordinaria capacità di contraddirsi e infangarsi autonomamente, il che, considerando la vacuità dei suoi proclami, è un fenomeno assolutamente affascinante). Arriva, però, il momento nel quale gli sento pronunciare, prima: Dal ‘92 al ‘93 il corso della vita politica è stato letteralmente condizionato dall’azione fuorviante di una parte della magistratura che ha preteso di assurgere ad un ruolo di rinnovamento morale in nome di una presunta rivoluzione etica, mettendo fuori gioco, con i loro leaders, i 5 partiti democratici che avevano governato l’Italia per oltre mezzo secolo e che, nonostante alcune ombre, avevano comunque assicurato il benessere e difeso la libertà e la democrazia dalla minaccia del comunismo. E, poi: Insieme a loro (riferendosi alle appena citate energie migliori del mondo dell’imprenditoria, delle professioni e del lavoro) rimetteremo in campo Forza Italia e chiederemo agli italiani di darci quella maggioranza che è indispensabile per modernizzare il Paese, per fare le riforme a partire dalla più indispensabile di tutte che è la riforma della giustizia, per non essere più un Paese sottoposto ad un esercizio assolutamente arbitrario del più terribile dei poteri: quello di privare un cittadino della sua libertà.

È il colpo di grazia; queste due frasi da sole sono sufficienti a racchiudere e materializzare il dramma politico e sociale italiano degli ultimi decenni, degli ultimi sette, per la precisione.

Il Cappellaio matto un crimine l’ha commesso, per lo meno, uccidendo il tempo, perciò viene costretto a vivere un’esistenza priva della dimensione temporale, stazionando inesorabilmente intorno al tavolo in un’intramontabile ora del tè. L’Italia sembra subire la stessa sorte; anche noi, come il Cappellaio, la Lepre e il Ghiro, continuiamo a maneggiare le stesse teiere, le stesse tazze e gli stessi cucchiaini, cambiando (o sarebbe meglio dire “rinnoviamo”, visto che la qualità rimane la stessa) solamente il liquido che ingurgitiamo.

Vedo Andreotti passeggiare senza fretta sulla linea dei 400 metri col testimone in mano, perché tanto non è una gara, non ci sono altri concorrenti. Davanti a lui Craxi aspetta il suo turno, ma Andreotti se la prende proprio con calma, tant’è che, una volta ricevuto il testimone, il futuro turista per sempre in Tunisia si lascia prendere dall’ebrezza e dall’emozione e, dopo i primi passi spediti, inciampa e continua a rotolare a terra, fino ad arrivare al terzo corridore della staffetta: Berlusconi. Probabilmente, mi dico, anche Berlusconi corre verso qualcuno, e noi siamo definitivamente in trappola. Se aggiungiamo che, restando in tema, il Leprotto Brianzolino è tornato a far riferimento a Forza Italia, arriviamo al parossismo. Non se ne vede la fine, la macchina dello stato s’è impantanata più di cinquant’anni fa in una pozza melmosa e non accenna a uscirne. Ogni tanto arriva qualche sedicente salvatore della patria e si mette al volante, ma, invece di inserire la prima e provare a levarci dalla merda, mette la retro, tira il freno a mano e dà gas.

L’eterno ritorno dell’uguale si è evoluto nell’immediato ripresentarsi dell’identico.

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Per quanto vittimisti si possa essere (fermo restando che vittime lo siamo eccome), dobbiamo accettare il fatto che, proprio come i personaggi di Carroll, non siamo esenti da colpe (e ben più certe delle loro) e, forse, abbiamo commesso crimini affini. Forse abbiamo ucciso il nostro tempo e messo in coma farmacologico la nostra coscienza storica. Non siamo tutti colpevoli allo stesso modo, in fondo in democrazia basta che la maggioranza dei cittadini sia colpevole per far scontare la condanna anche a tutti gli altri. C’è una differenza sostanziale, però, tra le macchie del popolo e quelle della classe politica: le nostre sono mancanze culturali e morali, mentre le loro sono, oltre a questo, reati tutt’altro che intangibili.

Il punto più tragicamente divertente, così comico che, se accadesse in una galassia lontana, tutti ne rideremmo come mai in vita nostra, è che noi stiamo pagando sulla nostra pelle i loro misfatti dal momento stesso in cui hanno iniziato a compierli; i politici, invece, non hanno ricevuto, o quasi, le giuste e meritate punizioni, e c’è una discreta possibilità che non le ricevano mai.

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