Chi recita si fa attraversare da tante vite, e la morte si dilegua

novembre 12, 2018 in Recensioni da Mario Baldoli

copertina-carmignaniDice Anna Proclemer: “Ogni sera sulla scena cerco la felicità. Faccio questo mestiere perché penso così di essere meno infelice”.

E’ la prima intervista di Paola Carmignani, per la prima volta nel camerino di un’attrice. La sua timidezza estrema e il sogno che si avvera: lavorare per o vicino al teatro, una magia che risale all’infanzia, a una famiglia che parlava di teatro anche a tavola.

L’intervista è uscita su “La voce del popolo” nel 1984.

Poi lei è diventata critico teatrale del “Giornale di Brescia” e ora in un libro prezioso e unico nel genere La passione teatrale, LaQuadra editore, riporta fra brevi brani delle sue interviste a decine di attori, la perla preziosa della loro intima testimonianza, la loro misura indelebile e umana. Una misura spesso vulnerabile come quella Mariangela Melato: “Ci sono momenti in cui un personaggio ti tocca, saltano fuori paure, solitudini. Quando ho fatto Un tram che si chiama desiderio ho sofferto, alla fine ero molto provata. Mi sembrava che coincidesse con un passaggio, mi sembrava che svanisse la possibilità di quel candore, di quella giovinezza”.

Non tutte le attrici sono vulnerabili. Rossella Falk (1990), i grandi occhi in cui pare di annegare, è una donna forte: “Ho viaggiato, mi sono innamorata (…) ho riso, ho sofferto. E’ così che ho potuto dar vita ai personaggi. Solo chi ha qualcosa riesce veramente a farli esistere”.

Anni dopo (1995), quell’Anna Proclemer del primo incontro non esiste più: “Sono disciplinata, non metto in discussione quello che mi si impone, eseguo”. Appare come “un monumento alla solitudine dell’attore”.

Commenta Paola Carmignani: “Si era placato l’anelito giovanile, era emerso il fondo scuro che abbiamo dentro, ora osserva muta la vita, senza spiegazioni”, come avesse capito che le spiegazioni non esistono.

E questa non è solo l’etica di Anna Proclemer, è un passaggio che col tempo avvolge lentamente l’attore il quale cambia con gli anni come tutti noi, ma il suo cambiamento è anche pubblico, si svolge la sera su un palco riflesso in tante storie, in un rapporto da brivido, perché il teatro “è più vicino a una partita di calcio che al cinema”, aveva scritto Silvio d’Amico. Così come la stanchezza di chi fa teatro non è paragonabile a quella dell’attore.

Paola Carmignani  (foto di Umberto Favretto

Paola Carmignani
(foto di Umberto Favretto)

Franca Nuti in un‘intervista parzialmente inedita, recuperata da Carmignani tra vecchi nastri: “L’attore attraverso la finzione compie un tentativo di verità, e la sua arte è più grande, quanto maggiore è il tasso di verità che egli raggiunge attraverso la finzione. Chi recita si fa attraversare da tante vite, le assume su di sé con il loro peso e la loro bellezza. E’ un lavoro per “non tiepidi”. Attraverso tante vite, la morte si dilegua. Una saggezza che apre alla storia.

Valeria Moriconi, più volte intervistata, afferma che il teatro è il luogo della libertà, dell’invenzione, della fantasia, quello in cui non valgono i limiti della condizione umana”. Ricorda il Pirandello di Castri: “Sento nostalgia di quel momento perché per me ha rappresentato un rovesciamento come attrice: la nascita di un’altra Valeria. Ci penso con l’orgoglio e la consapevolezza di aver partecipato ad uno dei momenti più alti del teatro italiano”.

Paola, Carmignani è arrivata al libro esplorando decenni di ricordi e interviste aprendo orizzonti esistenziali, che la sua curiosità di giornalista ha interpretato attraverso un’empatia spontanea, il suo amore per il teatro, quell’amore che l’attore con la sua sensibilità percepisce in chi gli parla, il sasso che cade nel suo intimo.

Giorgio Albertazzi , spesso intervistato dice (1986): “Chi appare sulla scena è un fantasma, proiezione dell’autore: è lui la persona da scoprire dietro il testo”. Decine di rappresentazioni delle Memorie di Adriano l’hanno portato a trasformarlo via via in una riflessione lontano dalla vita, più vicina alla morte e alla bellezza. Albertazzi ama riprendere drammi già recitati in passato: Re Lear, Shylock, Aligi in La figlia di Iorio e si accorge che ogni volta c’è un abisso con le sue precedenti rappresentazioni. Una leggerezza sempre più profonda.

Quante vite Paola Carmignani ha raccontato in un libro che è bellezza, ma anche malinconia, il romanzo dell’attore sulla scena.

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