“La corrente”, capitolo 1

gennaio 28, 2015 in Racconti e poesie da Stefano Bottarelli

 Era un mattino in cui sognava ignara
 nei ròsi orizzonti una luce di mare:
 ogni filo d’erba come cresciuto a stento
  era un filo di quello splendore opaco e immenso.
 
     Pier Paolo Pasolini, “A un ragazzo” (1956 – 57)

 

lacorrente1La danza dei minuti, fra gli scogli ove si frange la gioventù, il vento che assomma spruzzi d’acqua all’infinito davanti all’alta costa verde e grigia di macchia e di rocce. E’ la primavera marittima, quella della Pasqua sulle spiagge liguri, quasi nella Toscana dolce e aspra, la Toscana del sì che suona ogni mattina fra le pasticcerie di Sarzana o i duomi di Lucca o Pisa. Tu mi hai ascoltato, sei tornata anche a Pasqua alla spiaggia umile e selvatica di punta Corvo, forse sola, forse con qualche passero o allodola che fingono la fame. Cammini davanti al mare di una giornata tersa, inventi i passi e ti senti leggera, come nata fra quelle pietre dure e stanche di onde ma salve ormai sulla rena asciutta, più in là.

Cammini, pensi alla tua storia di musicista che ancora accorda le arpe al conservatorio di Firenze e non sai se finirà questo corso, anzi questa corsa fra note svelte e rumori, fra colleghi appassiti e fiori finti.

Il tempo sembra tenere, un gabbiano sale gradini d’aria sopra le onde sempre più intense: è un mare di onde basse e ridondanti insieme, come quello che la tua storia ammette; l’umile gabbiano intrepido non ti ricorda e neanche tu te lo ricordi veleggiare sorretto dal vento, come un muscolo intorpidito, sospeso sul vuoto biancore bagnato di questa mattinata tutta aria e azzurro. Ma tu sola; non lo vuoi più vedere il tuo amico, solamente il mare ti interessa, come una fata che ha tradito il principe azzurro, come una strega senza più mago.

Il vento ancora sospira, ti carezza le spalle: di là dal poggio il golfo di La Spezia, le sue petroliere e i suoi rimorchiatori sbuffanti: tu qui sul vuoto del mare che respira il tuo tempo, il solo tuo tempo umano e naturale. Riconosco il tuo nome, perché il tuo pensiero è un nome, ànemos imbizzarrito, travaglio che si confonde con la schiuma marina, la fa salata, bollosa, saporita di quei drammi che ieri ti tolsero alla vita della spiaggia della Versilia e ti portarono qui. Le allodole sono ormai vicine, non hanno paura di te, ti vengono intorno, tu ti senti rinascere, tu senti un ansito che non è il tuo ma che ti fa respirare, quello del mare profondo, quello del sole, quello dei sempreverdi, delle aghifoglie del Mediterraneo bagnato di qualche tua lacrima ora persa in lui tra i granchi e le cozze, tra i banchi di triglie, tra il silenzio venato di sentimento.

lacorrente2

La sera si avvicina, qualche luce dal porto si muove più su, ma resti ancorata ai ricordi che pure non sono più così cocenti, feroci, mostruosi; piuttosto ti senti in te come una malia sapida e presente, come un coro che ti canta dentro ma non sempre. E’ una di quelle sere in cui il tempo sospende il suo incedere quotidiano, in cui i pesci finalmente si conoscono dopo la furia del nuoto e della caccia. Quelle sere in cui l’umano sentire si commuove e pensa a Dio anche se non crede nell’aldilà perché l’aldiqua lo ha sempre interessato. Nell’angolo tra le rocce una lucertola si rifugia dal sole che ormai non splende come prima, somiglia piuttosto a una fiaccola spenta e ancora fumante nel castello incantato.

Arriva la barca che riporta Gigliola a Bocca di Magra, alla riva che l’ha aspettata tutto il pomeriggio, la navigata di ritorno è una corsa bagnata e rumorosa di un motore diesel fra spruzzi salati di fronte alla costa, la quale si sposta a vista d’occhio, sembra passare ad un’altra storia e il ritorno è un guizzo di rondine di mare che se ne va al suo destino.

Gigliola non pensa più: a questo è servita la gita agli scogli soli, a fermare quel sistema bioelettrico che è il cervello. Gli rimangono ora non più i ricordi ma le sensazioni: di una giornata luminosa, della sua vita ancora incompleta, di una voglia di bere, della pelle del viso arrossata dai raggi del sole appena di primavera, delle arpe del Conservatorio; di Donato. Donato che la cerca ancora, quel mingherlino dolce e spesso di risate e battute che a lei pare lontano e vicino insieme, come quelle mosche che sentiamo ronzare nel sonno serale e abbiamo deciso di addormentarci nonostante il loro tocco.

La barca approda al ponticello, le ginocchia di Gigliola sbarcano flettendosi, quasi dando a lei la sensazione di durezza per quella terraferma che l’aspettava. Via verso Sarzana.

[continua]

Condividi: Email this to someoneShare on FacebookTweet about this on TwitterShare on Google+Pin on Pinterest