Gridare, per costruire speranza

gennaio 18, 2021 in Recensioni da Laura Giuffredi

Saviano_copertinaUn libro che apre a tanti libri di vita, questo di Roberto Saviano (Gridalo, Bompiani, 2020), che vuole dare soprattutto ai giovani, ma non solo a loro, se non una mappa (è riluttante a definirla tale), almeno un metodo per munirsi di uno scudo. A che fine? Per affrontare con responsabilità e consapevolezza la vita, qualunque prova possa presentarci.

Biografie le più varie, che spaziano in ordine sparso tra antichità e contemporaneo.

C’è molta morte in queste pagine e già progredire nella lettura è un esercizio di coraggio: perché vittime e carnefici non vanno confusi, anche quando i secondi si presentano come affascinanti sirene; ma la loro strategia si fonda sulla menzogna, seguendo un copione in sé piuttosto ripetitivo, volto comunque ad affossare la verità.

Tu da che parte stai? Questa domanda incalza il lettore, dalla prima all’ultima pagina: smascherato il meccanismo con cui si crea una vittima sacrificale, si può capire che la lotta per non soccombere sarà, per forza, dura, estrema.

I servi del potere, a qualunque livello, non usano sempre e solo armi da fuoco e violenza fisica: spesso le loro trappole sono fatte di parole, parole che sanno smontare una vita pezzo a pezzo, senza ritegno, senza pietà, pur di zittire, pur di soffocare, pur di dare una morte civile.

Da qui l’appello: “Gridalo!”

Daphne Caruana Galizia

Daphne Caruana Galizia

Poiché, per contro, anche la libertà si fonda sulle parole, quando fondate sulla conoscenza, che rifugge, come Ipazia, dalla banalità della semplificazione; che insegue la verità, denunciando ciò che è corrotto, attraverso il racconto dei fatti, come fu per Anna Politkovskaja; perché smascherare il marcio non è “sputtanare la patria” (e Saviano ne sa qualcosa, ma ancor di più Daphne Caruana Galizia).

Queste storie esemplari, spesso di giornalisti e scrittori, molte di donne, scorrono e afferrano alla gola, per quanto rivelano di ingiustizie e soprusi, di violenza e abuso strisciante: nomi più ovvi, come Pasolini, Khashoggi, Zola, ed altri meno scontati, come Jean Seberg o Settimia Spizzichino (vite tutte da scoprire).

Jean Seberg

Jean Seberg

Ci vuole tenacia, coraggio, ma prima di tutto determinazione curiosa ad usare il pensiero e tradurlo in parola, senza farsi mestamente convincere che “nulla mai cambierà”.

Viene utile anche l’etimologia: la parola vuole funzionare da forza d’interposizione, creare disturbo, come lo zoccolo piantato a bloccare gli ingranaggi della catena di montaggio. In francese “zoccolo” si dice “sabot”, da cui “sabotaggio”.

Di questo viene accusata la parola libera, per cui il Potere prova fastidio per chi scrive e per chi legge parole, e per chi ne pronuncia di autentiche.

Del resto già Leopardi l’aveva capito: “Il genere umano non odia mai tanto chi fa male, né il male stesso, quanto chi lo nomina”.

Eppure il pessimismo, che sembrerebbe a questo punto inevitabile, e da cui l’autore per primo è, a sua detta, costantemente tentato, è un vizio: non si commetta l’errore di scambiarlo per virtù…

E pertanto l’invito al lettore, specie se giovane, è chiaro: “Il vuoto che senti dentro riempilo di conoscenze, perché le conoscenze determinano sempre un percorso migliore di quello che scava, nella pancia, la rabbia”. Solo così il “grido” sarà efficace.

 

di Laura Giuffredi

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