In duemila pagine tutto Emilio Salgari, il capitano della Malesia

febbraio 1, 2022 in Approfondimenti, Recensioni da Viola Allegri

Salgari copertina 1In principio era Sandokan nella jungla della Malesia, ben diverso nell’aspetto da quel distinto e originale signore che andò, non a caso, ad abitare nello stesso casale del capitano a Torino.

Il signore originale è Ernesto Ferrero, intellettuale decorato, tra i dirigenti dell’Einaudi nei migliori anni dell’editrice, scrittore vincitore di uno Strega, direttore del Salone del libro di Torino. Sandokan è il leader avventuriero tra le migliaia di personaggi usciti dalla fantasia di Emilio Salgari, autore di tanti libri di formazione degli adolescenti ante computer. Uno scrittore che la regina Margherita di Savoia insignì nel 1897 del titolo di “Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia” perché “istruendo con diletto giustamente si è meritato il favore del pubblico”. Ne deduco che la regina fosse una sua appassionata lettrice.

Salgari

                                 Emilio Salgari

Cento anni fa (1921) Emilio Salgari si apriva il ventre con un rasoio in una valletta torinese, morte terribile, degna dei suoi romanzi, ma anche gesto di odio verso il progresso industriale celebrato dall’Esposizione internazionale di Torino: una fiera con uno spirito ciarlatano che esalava dai cartelloni colorati; forse anche la liberazione dalla miseria opprimente cui lo costringevano gli editori proponendogli contratti capestro che lui firmava senza leggere, già immaginando la prossima carica dei Tigrotti.

Salgari copertinaA cento anni da quel gesto: era il momento che un editore – Olschki – avesse il coraggio di pubblicare l’opera omnia del più grande e prolifico scrittore italiano d’avventura, Emilio Salgari, una mitologia moderna tra letteratura, politica, società. Autrice dell’immenso lavoro, Ann Lawson Lucas, docente di lingua e letteratura italiana all’Università di Hull (Yorkshire), già traduttrice in inglese delle opere principali di Collodi. Quattro tomi, in tutto 2.000 pagine, bibliografie ragionate e commenti, 203 figure in b/n, 112 tavole a colori. Infatti come leggere Salgari senza immagini? Il tutto preceduto l’anno scorso da un libro di 200 pagine, che ne è la vasta introduzione, sempre di Lawson Lucas, La ricerca dell’Ignoto. I romanzi d’avventura di Emilio Salgari.Salgari copertina ricerca ignoto

A completamento dell’impresa, ora Olschki pubblica di Luciano Curreri Il mondo come teatro. Storia e storie nelle narrazioni di Ernesto Ferrero, un saggio dotto e denso che esplora multiformi tipi di lettura dell’opera di Ferrero, legato da sempre a Salgari, anche se a metterlo al centro abbiamo dovuto aspettare fino ad oggi Disegnare il vento. L’ultimo viaggio del Capitano Salgari, ed. Einaudi.

Ferrero ha esordito con Storie nere di fine secolo. La mala Italia (1973), seguito da Gilles de Rais. Delitti e castigo di “Barbablù”; I gerghi della malavita dal Cinquecento a oggi, insomma in Ferrero c’è lo stupendo fascino del male. Poi Cervo Bianco (1980), rielaborato in L’anno dell’indiano, ripasso dell’irripetibile stagione einaudiana: Pavese, Calvino, Sciascia, Lalla Romano, seguiti dalla Storia d’Italia, 10 volumi che cambiarono l’immagine del nostro Paese. QuellAnno dell’indiano si conclude con una battuta che riassume uno dei sensi della vita: Felice chi dimentica quello che non può ritrovare.

Curreri copertinaCiò che più affascina Ferrero nel libro di Curreri, sono gli ultimi anni di Salgari, il romanziere delle storie fantastiche ma verosimili, cresciute nelle biblioteche: il ciclo indo-malese e quello dei corsari delle Antille. Il continuo inciampare di Salgari nella vita e nell’avventura di romanzi di lotta e vendette mai risolte: storie che costruivano il nostro immaginario di ragazzi. Non sapevamo chi era quell’uomo: nato a Verona, pessimo studente, diplomato all’Istituto nautico di Venezia, marinaio un po’ per dire, con poche navigate, giornalista.

Ma più di tutti aveva la fantasia e il desiderio. Quindi ore passate nelle biblioteche dei vari posti dove abitò: Venezia, Liguria, gli ultimi due anni alla periferia di Torino e in quelle biblioteche imparava tutto, dal kriss dei Malesi al gabbiere di parrocchetto, e la sua casa si riempiva di oggetti che richiamavano la fantasia dei luoghi lontani, clima, flora, fauna, cibo, medicina, usi e costumi raccolti su schede di un vocabolario interminabile cui attingere per essere esatto, cioè credibile. Non era certo suo collega Verne, così dipendente dalla scienza, secondo Salgari. Gli era più vicino Conrad che però in Italia non si conosceva, un romanziere che aveva veramente solcato tutti i mari e conosciuto l’arrivo delle macchine, il mondo nuovo che per Salgari fu la fine della voglia di vivere, già arrivata allo stremo. Come lui, anche Conrad fu un grande narratore del verosimile.

Ferrero scrive quest’ultimo libro come un teatro: il dialogo tra Salgari e una giovane che compila un diario, giovane già attraversata da un amore infelice, lettrice inqueta e attenta di lui che incontra casualmente sull’argine della Dora, una delle poche volte che l’uomo dal perenne sigaro in bocca, usciva di casa. Lo riconosce e subito qualcosa che nella sua testa bolliva da tempo la fa esplodere nella frase più bella, seduttrice: Tuoni d’Amburgo! Lei, capitano!

La storia continua con lo stile di Ferrero, asciutto come le pagine di Sciascia, ogni pagina un fatto. La scrive Angiolina nel suo diario in cui registra la vita del paese, il parlare della gente, i conflitti, il Capitano che a sera ha l’avambraccio dolente per quanto ha scritto, e con un sorso di marsala allunga l’inchiostro che ormai non ha più colore, ma per lui discende dalle bacche di sambuco, come usava nel suo Borneo.

Nel dramma i loro incontri appassionanti sono interrotti da una voce fuori campo che parla di lui, il Capitano, come tutti lo conoscevano, l’uomo che aveva fatto bere a tutti la sua vita fantastica sui mari con parole a cui era inevitabile credere, vita di cui la stessa moglie non era mai venuta a capo. Gli incontri con Angiolina (nome sveviano scelto da Ferrero, non adatto a santarelline) offrono a Curreri i tentacoli che spingono su un sentiero, poi rovesciano un’interpretazione, ancora lo mettono davanti ad un altro e lo circondano di mille specchi in cui Salgari si guarda sfiorito e triste. Angiolina scava nei pensieri del Capitano, e Salgari, introverso e silenzioso, si lascia violare dalle domande della giovane: Ma perché nei Misteri della jungla nera, un capitolo si intitola Uccidere per essere felici? Il Capitano spiega: Vuol dire che Tremal-Naik, diventato prigioniero dei Thugs …

La storia immaginata ha la sua morale: Niente dà più piacere all’uomo del disporre della vita di un altro, di poterla spegnare o conservare. Odiare fa bene. Noi siamo quelli lì, i lineamenti deformati di Sandokan che si lancia sulla tigre. il sangue chiama sangue dai tempi di Abele e Caino.

Con quei libri che odorano di vendetta, Salgari ci ha lasciato un monumento, la pubblicazione della sua opera toglie la polvere e ce lo riporta all’ultima carta scritta prima del suicidio: A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria ed anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati, pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna.

 di Viola Allegri

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