La nuova dimensione abitativa: la meta-città.

settembre 28, 2013 in Architettura e urbanistica da Gloria Berardi

im 2La diffusa metamorfosi del paesaggio naturale in quello artificiale ha trasformato il territorio italiano in un’unica città dilatata.

Una trasformazione repente, poco controllata e scoordinata, che velocemente erode ogni spazio vitale di un corpo che langue a partire già dal secondo dopoguerra.

L’inarrestabile processo d’occupazione del territorio è come un cancro invasivo che cresce rapidamente, mettendo a repentaglio la sopravvivenza degli uomini, degli animali e della vegetazione. Un processo che sta trascinando al degrado e allo sperpero l’identità fisica e paesaggistica del nostro paese.

La città permanente non è solo una realtà italiana, ma un fenomeno globalizzato con alcuni elementi simili tra loro, elementi che si presentano anche aree geografiche diversificate. Il meccanismo è comune: un’azione erosiva del patrimonio sia storico e sia naturale.

Non c’è nessuna panacea per questo male, perché perdurano le evidenti cicatrici e le ferite aperte, come ricordo dell’inarrestabilità del processo.

La diagnostica e le numerose indagini teoriche, i tentativi a carattere sia sperimentali che d’intervento non sono riusciti a bloccare il cancro.

Anzi, aumenta il caos urbano, dove le forti emergenze creative architettoniche sono incastrate nel territorio, senza una chiara composizione spaziale e urbanistica che le supporti.

 La somma, la concatenazione in modo continuo e indefinito di luoghi urbani avulsi dall’ambiente originario senza avere una definizione nuova o alternativa, può insinuare un senso di  disagio e smarrimento legato alla difficoltà di orientarsi nel vivere quotidiano.

Il territorio trasformato in un’unica città dilatata è come un male oscuro che erode l’integrità di un organismo e ne blocca le funzioni vitali.

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Arrestare l’azione di tale negativo processo?

2(1)Il rinvio delle decisioni, le scelte mirate, la passiva accettazione e rassegnazione di un inarrestabile sviluppo d’occupazione del territorio sono i connotati di una malattia depressiva, che esigono interventi non solo progettuali urbanistici, ma anche sociologici e psicologici, per ritrovare un’identità fisica, ridefinire una realtà spaziale più vivibile e valorizzare il patrimonio storico e naturale esistente.

 La caotica espansione urbana prodotta a  partire dal secondo dopoguerra  è il risultato di un trama di interessi pubblici, personali e interpersonali, di presenze architettoniche forti, di aree zonali e insediamenti ghettizzanti periurbani fattori che hanno facilitato l’attuale sviluppo canceroso.

Dalla polis, fenomeno geopolitico, succede l’onnipolis, la megalopoli contemporanea: città-fantasma, meta-città senza limiti e governata da più leggi spesso in contrasto tra loro, divenendo una realtà e non luogo identificato.

Qual è l’intervento chirurgico che col fine quello di riparare, ricostruire, riporre in sede, asportare, sostituire con una serie di azioni cruente una parte dell’organismo colpito potrà rendere nuovamente il mondo, un posto migliore in cui rioccupare il vivere?

Resta l’incognita della riuscita dell’operazione.

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