La stanza buia della magia alla conquista del mito

agosto 5, 2015 in Recensioni da Mario Baldoli

la trama segreta del mondoMentre la scienza si espande, sconfigge il cancro e spiega la nascita dell’universo, nel cuore delle donne e degli uomini rimane uno scaffale polveroso, una stanza buia: l’irrazionale, l’occulto, il magico. E vi rimane dal Paleolitico.

Giulio Guidorizzi, autore, fra l’altro, di due tomi fondamentali su Il Mito greco, esplora con l’ultimo libro La trama segreta del mondo. La magia nell’antichità, Mulino 2015, il momento in cui l’uomo si allontana dall’istinto e comincia a credere in un occulto in grado di salvarlo, aiutarlo, mettere nei guai un rivale, conquistare la persona che ama.

Due sono i nuclei del suo libro. Due nuclei che procedono intrecciati, non separabili.

Il primo è la descrizione della magia, del suo prolungarsi nel mito, del suo essere ancora dentro di noi, nei nostri cassetti privati, in ciò che Insieme affermiamo e neghiamo.

La magia è la forma primordiale del pensiero e il mondo magico opera ancora dentro di noi, scrive Guidorizzi.

Nella magia l’invisibile governa il reale con poteri segreti capaci di smuovere forze lontane, dare giustificazione ai desideri, liberare dalla paure. I suoi strumenti sono sempre gli stessi dall’antichità: verghe, cinture, pupazzi, filtri, spilloni.

Sappiamo bene che essa fallisce, ma i suoi fallimenti paradossalmente incrementano la fede in lei come la fede nei miracoli di Lourdes non è scossa dal fatto che una minima percentuale di guarigioni può essere vantata.

La magia richiede un fortissimo coinvolgimento emotivo: chi compie il rito deve entrare in contatto con le forze e le energie che sta evocando, che possono scatenare orrore e follia, come può essere l’appello a divinità infernali, che si manifestano con urla atroci e inaudita violenza.

Medea Delacroix

E. Delacroix, “La furia di Medea”, 1838, Palais des beaux-arts de Lille

NellEneide una furibonda strega numida prescrive a Didone di erigere una pira, deporvi le armi e quanto lasciato da Enea, compreso il letto in cui si sono amati. Bruciando quegli oggetti “brucerà” anche il dolore di Didone. Nel clima di una furibonda tensione, la regina si scioglie i capelli, apre la veste, si getta tra le fiamme.

Legare e sciogliere sono i due passaggi obbligati della magia. Per questo le più comuni sono le magie d’amore. La più antica è la follia erotica che colpisce Medea la quale aiuta Giasone con filtri e delitti a rubare il vello d’oro nell’ imprecisato oriente della Colchide. Con lui ha due figli, ma quando Giasone sposa un’altra donna, la fa morire donandole una tunica magica, al modo in cui Deianira farà morire Eracle, e uccide i due figli avuti con lui. Dopo avergli augurato ogni male e predetto la morte, Medea torna su un carro inafferrabile al suo Paese.

Maga potentissima è Afrodite che lega d’amore le persone con l’aiuto di Eros, per esempio Elena e Paride, così come si scioglie la cintura per sedurre Anchise, e siccome l’amore con una dea deve essere unico, Anchise genera il solo Enea, diventando poi, com’è verosimile, impotente. Magia della dea dell’amore.

Odisseo è “lo sciamano della parola”, Circe con una verga rende maiali i suoi uomini, ma lui supera la prova del beverone e la vince.

Così Guidorizzi, con decine di esempi rivisita i miti greci, “un’antologia di temi magici”. Un’esemplare raccolta.

E’ a questo punto che non mi convince più. E’ originale leggere l’antichità attraverso il filtro della magia, ma estrapolare i passaggi magici in Omero (e nei poeti successivi arrivando fino a Bulgakov e – penso io – fino a chi gioca al lotto), è minimizzare e sminuzzare il mito, spogliarlo dei significati più profondi. Così come prendere una vita, farla in frammenti e denunciarne le miserie.

Il mito è prima di tutto narrare. Tra mito e magia c’è un uomo, il rapsodo che non è una profetessa o uno sciamano, che non urla né evoca potenze infernali, cuce canti, suona, intrattiene il nostro irrazionale con il loro fascino.

Credo che anche nella letteratura più antica, i mezzi magici siano solo dei simboli, degli “aiutanti”. Odisseo sconfigge Circe senza bisogno di usare l’erba magica, il moli, che Ermes gli ha dato. Tanti simboli entrano nel racconto, ma non ne sono parte obbligata, sono invece l’ingrediente poetico, la sua fantasia fascinosa.

Neppure Omero credeva che i cavalli di Achille, per magia, acquistassero la parola per prevedergli la morte, né che lo scettro di Agamennone avesse poteri speciali, né che l’invocazione di Crise sapesse muovere un dio.

Tuttavia la magia esiste nella realtà – antica e moderna – nel buio delle nostre visioni oblique e perturbanti, come gli scheletri che teniamo nel nostro armadio. E’ l’estrema riserva di speranza, quella che è rimasta in fondo al vaso di Pandora. Quella per cui ci ribelliamo alla definizione di Albert Camus: la speranza è rassegnazione.

Già lo sapevano gli Ateniesi del V secolo a. C. che consideravano lo sciamano uno sciocco. In questo libro Guidorizzi si è basato molto su Eric Dodds, I Greci e l’irrazionale, uno splendido testo innamorato del magico.

A. G. Decamps, "The Witches in Macbeth", 1850 ca, Wallace Collection, London

A. G. Decamps, “The Witches in Macbeth”, 1850 ca, Wallace Collection, London

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