L’inchiesta agraria Jacini

febbraio 4, 2013 in Libri perduti o da tradurre da admin

Dal 1885, quando fu conclusa, l’Inchiesta agraria Jacini se ne sta trascurata tra gli scaffali delle principali biblioteche nazionali. Il suo nome esatto è Atti della Giunta per la inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola. Si tratta della ricerca più vasta e completa fatta da un governo sul nostro Paese: 15 volumi, 23 tomi, tabelle e allegati statistici.

Si cominciò a parlarne nel 1869, l’anno in cui entrò in vigore l’imposta sul Macinato ed esplosero rivolte contadine soprattutto nel nord Italia.

L’Italia, al momento dell’unità era in condizioni economiche spaventose, a causa delle guerre e del debito acquisito dagli stati unificati, ma già nel 1875, con la cura feroce di Quintino Sella (tasse e alienazioni di beni nazionali e ecclesiastici), il governo era arrivato al pareggio di bilancio.

Molti erano i problemi e gli obiettivi che spinsero i governi di allora ad affrontare uno studio massiccio come l’inchiesta, ma quello di fondo era: perché l’agricoltura degli altri Paesi europei era più solida della nostra? Perché nessun paese d’Europa aveva tanti spazi improduttivi come il nostro? Che fare per cambiare le cose?

Sotto queste domande stava un’ammissione ampiamente verificata: i governi succedutisi dall’Unità, guidati perlopiù da uomini del nord e della Toscana, non conoscevano i bisogni dell’agricoltura del sud e nemmeno quali condizioni di lavoro ci fossero. Il parlamento non rispecchiava il Paese: nel 1880 gli elettori furono solo 369.624, ricchi provenienti dalle grandi proprietà fondiarie o dal mondo delle professioni. Essi conoscevano la Sicilia attraverso gli storici romani, quando era “il granaio d’Italia”, ma non l’avevano mai vista. Il primo presidente del consiglio che visitò il sud più povero (la Basilicata) fu il bresciano Giuseppe Zanardelli, nel 1902.

Vi furono forti dissidi tra i membri incaricati di preparare l’inchiesta, diretta da Stefano Jacini,sul metodo e i contenuti. Alla fine prevalse la linea di dividere le province in circondari (ad es. Brescia nei circondari della Città, Salò, Breno, Chiari, Verolanuova), di individuare una persona impegnata nel mondo agricolo, spesso dei proprietari, a rispondere a una cinquantina di domande (uguali per tutti i circondari) spazianti dalla geologia ai corsi d’acqua, al bestiame, alla produzione, al commercio, al credito, al tipo di proprietà  e infine alla condizione dei contadini. L’ultima domanda in proposito (l’unica che si riferiva direttamente ai contadini) era ferocemente paternalistica: condizioni fisiche, morali ed intellettuali dei lavoratori del suolo. Da cui sappiamo che, rispetto al passato, i contadini andavano meno in chiesa, rispettavano meno i signori, avevano un unico vestito (di fustagno, al nord), vivevano in case umide con la terra battuta come pavimento, i loro figli andavano a scuola saltuariamente, nella pianura Padana mangiavano sempre granoturco, e fioriva la pellagra.

Nella giunta incaricata dell’inchiesta, il solo ad opporsi a quel metodo fu il medico Agostino Bertani, mazziniano, repubblicano, rappresentante dell’Estrema Sinistra, il quale fu incaricato di uno studio a parte che condusse soprattutto sulle condizioni sociali e igieniche dei contadini interpellando i medici condotti del Paese. Bertani credeva che la crisi agricola fosse determinata soprattutto dai rapporti di lavoro e dalla miseria dei contadini. Il che spiegava anche la crescente emigrazione. La sua ricerca fu pubblicata col titolo Risultati dell’inchiesta istituita da Agostino Bertani sulle condizioni sanitarie dei lavoratori della terra in Italia.

L’opera che proponiamo non è di pubblicazione impegnativa. Basta che ogni città o provincia pubblichi quanto riguarda il proprio circondario. Sarebbe la preziosa conoscenza di un’Italia tanto lontana quanto degna di essere riscoperta.

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