Memoria – Terza parte – La suocera, una sarda!

gennaio 22, 2013 in Racconti e poesie da admin

di Azzurra Chesab

Ho qualche fotografia del mio bisnonno paterno che lo mostra impettito, nella sua corporatura asciutta e nella statura poco imponente. Ti chiedo di raccontami di lui e della sua famiglia.

Mio suocero era molto buono e affettuoso con me. Era molto alto, come tuo padre.

Sarà stato alto forse un metro e settanta, mi dice mio padre ed io sorrido al pensiero che tu, piccolina, lo definivi molto alto. Mio padre però raggiunge i 185 centimetri!

Era un carabiniere, ma in seguito alla frattura di una gamba dovette passare alla guardia forestale. Era nato nel 1880, a pessina cremonese.Sua moglie anna invece era una sarda (era una sarda, lo pronunciavi con tono dispregiativo). Non era sarda di origine, era però nata in sardegna perché i suoi genitori, originari di vilminore di scalve, erano andati sull’isola per lavoro. Mai un sorriso sulle labbra mia suocera. Era lei il “carabiniere”, non suo marito!

Quando mio padre, bambino, andava a trovarla nella sua casa, la trovava al semibuio, seduta in poltrona, con la radio accesa su una stazione di preghiere. Tra le mani teneva il rosario che sgranava senza interruzione. Rimaneva in silenzio e parlava solo per insegnargli a pregare. Indossava abiti lunghi e neri, chiusi al collo, ed era molto fredda con lui, sebbene tu dicessi sempre che era affezionata a quel nipote maschio che portava lo stesso nome di suo marito.

Il mio bisnonno, in qualità di carabiniere a piedi del regio esercito, si spostava di continuo con la famiglia e i suoi sei figli sono nati in paesi diversi. Clusone, vilminore di scalve, zogno, paese natale di mio nonno, castione della presolana, sondalo. Tre maschi e tre femmine.

Due figlie sono morte in giovane età; martina di tisi, a ventitre anni, amelia, un mese prima di compiere venticinque anni, per una leucemia fulminante. Era sposata da quaranta giorni.

Poco dopo la nascita di giuliana siete sfollati a caino, per sfuggire alla guerra.

A caino alloggiavamo in una piccola abitazione. C’era una camera, dove dormivamo, annessa ad un angusto spazio che fungeva da cucina e sala da pranzo.

Ogni giorno franco partiva da caino, un borgo montano, per recarsi in città. La fabbrica per cui lavorava era stata riconvertita in industria bellica e lui aveva un “foglio lasciapassare” scritto in italiano e in tedesco. Se fosse stato fermato durante il suo tragitto lo avrebbe mostrato ai soldati.

I soldi erano pochissimi ed essendo sfollati non potevo più ricamare per i signori della città. In quel periodo di miseria, per guadagnare qualche spicciolo, facevo una specie di baratto. Sotto il letto tenevo una gallina. Franco andava a san martino all’argine, a casa di parenti, e scambiava le uova della gallina con il sale grezzo. Io lo bollivo in una grossa pentola per toglierne le impurità più grossolane, poi lo filtravo e infine lo rivendevo.

Una mattina, franco era in città a lavorare e io ero sola a casa con giuliana, bussarono forte alla porta.

Andai ad aprire. Davanti a me si ergeva la figura imponente di un uomo in divisa, con l’arma nel fondello.

“ signora, dove nascondete le armi?” mi chiese.

“ non abbiamo armi. Non abbiamo nemmeno da mangiare” risposi.

Pregavo che la gallina non si facesse sentire per non dover cedere l’uovo al militare. “mio marito lavora per i tedeschi” aggiunsi, augurandomi che la visita si concludesse in breve.

Fortunatamente la gallina tacque sotto il letto e l’uomo se ne andò.

Non avevo abbastanza grattacapi da sbrogliare che, un pomeriggio, capitarono in quella piccola casa, a distanza di poche ore, mia mamma e mia suocera.

Ero molto arrabbiata, perchè la nostra sistemazione era precaria e non sapevo come sistemarle.

Mia mamma era giunta con l’ultima corriera: non potevo farla tornare a casa dopo cena.

Corsi subito dalla mia vicina di casa, una signora vedova, a cui chiesi se aveva posto per quella notte per mia mamma. In cambio le avrei dato del sale. Accettò. Mia mamma era sistemata.

E mia suocera? Non sapevo che cosa fare, così aspettati il ritorno di franco.

“ dove la mettiamo che siamo già in tre nel letto?” gli chiesi.

“ preocupet mia, ghe pense me” mi rispose lui battendosi la mano sul petto.

Nel frattempo dovevo pensare alla cena. Racimolai qualcosa. Seduti a tavola pensai-chi servo per prima? Mia mamma o mia suocera?– temendo che la seconda servita si sarebbe sentita offesa dissi: “da noi vige la regola che si serve prima la persona più vecchia di nascita”. Toccò a mia suocera.

Dopo cena accompagnai mia madre dalla vicina e mia suocera dormì nel letto matrimoniale al posto di suo figlio, in fianco a me e a mia figlia; franco si sdraiò in fondo al letto, rivolgendo i piedi verso sua madre, sperando di infastidirla.

La sistemazione precaria le fece rientrare in città l’indomani.

Le loro visite divennero sporadiche nei mesi successivi e non si trattennero più a caino per la notte.

Il nonno è mai stato fermato dai tedeschi?

No. Non credo. A me non lo ha mai detto.

Fino a quando siete rimasti a caino?

Fino alla fine della guerra. Poi siamo tornati nelle nostre due stanze in via comboni. Proprio in quelle stanze, nell’inverno del 1947 è nato cesare. Faceva freddo, molto freddo.

Nel rientrare in città abbiamo ripreso ad andare la domenica mattina da mia suocera.

Abitava sola da quando il marito era morto e la primogenita, peppina, si era sposata con un uomo rimasto vedovo ed era diventata madre di una bambina, anna.

Era un supplizio andarla a trovare e spesso vi trovavamo la figlia, che non era una donna piacevole. Ero in un covo di serpi.

Portavo sempre in dono il caffè macinato, di qualità arabica. Conservavo il caffè buono per quella visita; noi, a casa, bevevamo quello d’orzo perché costava meno.

E sempre, alla vista del caffè la peppina diceva in dialetto cantilenando: “za che la roseta la gha portat el cafè, fom el cafè?”

Dal tono che utilizzavi per descrivere tua suocera e tua cognata si percepiva la tua antipatia nei loro confronti ed io me le sono sempre figurate come “arpie”. Forse eri troppo severa nel giudizio, chissà!

E quando parlavi di peppina e la confrontavi con sua figlia ti stupivi perché la dolcezza di anna non aveva nulla a che fare con il carattere scorbutico della madre.

E’ stata la nipote che più ti si è affezionata. Veniva spesso a trovarti a casa; solare, portava una ventata di allegria nella tua casa.

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