Un milione di scale

marzo 12, 2013 in Racconti e poesie da Beatrice Orini

Ha occhi grandi e perduti, Adele. Siede su una poltrona a fiori chiari, lo sguardo fisso sulla tivù che inonda la stanza di voci. Non le ascolta né segue le immagini, la sua testa è altrove. Ma dove? si domanda Tullio, interrompendo il cruciverba e guardandola mesto. Dove scappano i suoi pensieri? Che cosa è successo, dov’è finita mia moglie?
Sono le stesse domande da mesi. Certo, conosce le risposte, quante volte i figli gliel’hanno spiegato, eppure non si dà pace. Ancora si stupisce e si tormenta.

– Adele! Adele, mi senti?
Non si volta neppure. Lui allora con fatica si alza, appoggiandosi al bastone si avvicina alla poltrona e al suo profumo di gelsomino. Un profumo che da più di cinquant’anni per lui vuol dire Adele. Ripete forte:
– Cara, mi senti?
Finalmente lei si accorge della sua presenza, lo osserva interrogativa con quel suo volto che è tutto un crepuscolo e poi esclama:
– Chi sei?
Non è possibile, davvero mia moglie non mi riconosce più, pensa Tullio. È così triste.Si allontana un po’ curvo, ignorando i rumori della cucina e infilando la porta della camera, che ora abita da solo. Seduto sul bordo del letto, lascia correre i pensieri che cocciuti tornano a quei primi segnali… La stessa domanda ripetuta cento volte e i nipoti scambiati per i figli, gli occhiali nel frigorifero e l’uovo bollito nel caffè. Poi l’angoscia di scoprire ogni giorno nuove azioni insensate.

una nonna

Quella volta che l’aveva sorpresa a uscire di casa in sottoveste o a parlare da sola sdraiata sotto il letto. Quella volta che lei aveva aperto le imposte per fare entrare il giorno nel cuore della notte e non c’era stato verso di convincerla che ancora non era mattina: aveva dovuto accompagnarla fuori nella vana ricerca di un’edicola aperta. Fino a quando lui e i figli avevano dovuto sottrarle anche l’amata Graziella, che era ancora – a 84 anni suonati! – il suo mezzo di spostamento preferito; si erano accorti che era diventata pericolosa, pedalando come una scheggia senza più badare ad auto, pedoni e semafori. E poi sempre frasi sconclusionate, ricordi vivi di un passato lontano e solo nebbia nel presente, attimi di lucidità che si facevano sempre più rari…
D’improvviso Tullio è stanco anche di ricordare. Si sente smarrito e solo. Chiude gli occhi e alla memoria gli riaffiorano dei versi: Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale/ e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. È proprio così: lei non c’è più anche se c’è ancora e ad ogni passo lui sprofonda nel vuoto…
– Signore Tullio! Signora Adele scapata di nuovo! In sala non c’è, porta di casa aperta… Signore Tullio!
Anastasia, badante moldava che da mesi assiste Adele, si precipita fuori. Sa dove cercare. Già sulle scale sente le voci, sale due rampe e trova Francesca, la giovane inquilina dell’appartamento di sopra, che tenta di spiegare con gentilezza ad Adele che si sta sbagliando, che lei abita sotto, che deve scendere… Non è la prima volta che se la trova in casa alla ricerca del padre che è morto da trent’anni. La prima sera era capitato mentre Francesca stava cenando con il compagno e i bimbi: sbucciava una mela ed ecco un rumore di porta e la loro anziana padrona di casa in mezzo alla stanza a chiedere, tra tanti farneticamenti, di suo padre… Un vero spavento. Ma in effetti, molto tempo prima, Adele aveva davvero abitato, prima con la famiglia e poi col marito, nell’appartamento che ora è affittato a Francesca.
Anastasia porta via Adele con fatica, scusandosi. Le attende sull’uscio Tullio, inquieto, che poi chiude la porta, si mette in tasca le chiavi e si rituffa nelle parole crociate. Anastasia torna in cucina insieme ad Adele e mentre finisce di preparare la cena le parla dolcemente nel suo italiano stravagante. Le racconta molte cose: delle sue figlie lontane, dei loro studi, del marito che da anni non trova lavoro. Le racconta che domenica ci sarà una festa nei giardini organizzata dalla sua parrocchia, che si vestirà elegante e porterà un piatto speciale. Le parla e le parla e poco importa se non capisce, se non risponde. Il tempo così passa più lieve e ogni tanto Adele le regala un sorriso sdentato da sciogliere il cuore.
Una settimana più tardi, suona il campanello. È Francesca.
– Credo che sia per Lei – dice a Tullio con un’espressione strana, allungandogli un post-it. – L’ho trovato sulla mia porta.
La sera Tullio non prova nemmeno a toccare il cruciverba. Guarda la moglie seduta sulla poltrona a fiori chiari: sa che se le parlasse non lo riconoscerebbe. Eppure stasera Tullio la guarda e sorride. Sente il profumo di gelsomino ma non più il vuoto intorno a sé. L’indomani scenderà, dandole il braccio, altre decine di scale. Non sarà l’Alzheimer a rendere più breve il loro lungo viaggio… Già, lei non lo riconosce ma non l’ha dimenticato:
Amore mio, buona partita. La cena è in forno, basta scaldarla. Ti amo. diceva il post-it che Adele aveva lasciato sulla porta del suo antico appartamento.
Ed era per lui.

Racconto vincitore del concorso letterario “Parole in corsa” 2011 di Brescia Trasporti

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