“Ricordate sempre di essere umani”, anche nell’infosfera

agosto 27, 2018 in Approfondimenti, Recensioni da redazione

di Adriana Ziliani e Mario Baldoli

la-psicologia-di-internetUn cane scrive una mail a un altro cane: In Internet nessuno sa che sei un cane. La striscia umoristica di Peter Steiner “è fortemente esagerata”, direbbe Mark Twain quando fu pubblicata la notizia della sua morte, e aggiunse: “spiacente di deludervi”. Oggi sarebbe deluso anche il cane, facilmente smascherato. Più tempo occorre per smascherare una fake news, un falso profilo, le mail di un governo.

A cinquant’anni dalla nascita della rete delle reti Internet presenta soprattutto tre facce: la cultura, la pubblicità, la condivisione.

Wikipedia è la più grande enciclopedia mai esistita, il progetto Gutenberg, il collegamento e il prestito fra tutte le biblioteche del mondo, la possibilità di ascoltare la grande musica, di vedere qualunque luogo dalla propria scrivania, di leggere quasi tutti i giornali del mondo sono grandi passi per l’umanità.

Di solito la pubblicità è l’ossigeno del sistema (ma non per G9), e lo inquina con l’invasività delle multinazionali, mentre i Social continuano a vendere i profili dei loro clienti come fossero loro proprietà.

La condivisione, con un terzo del mondo interconnesso, apre molte possibilità: raccolta di denaro per chi affronta cure mediche costose, scelte di volontariato, superamento di timidezze; giochi di ruolo e partite di scacchi, consigli tra velisti e attività commerciali, ricerche d’amore e narcisismi aggressivi.

Umberto Eco era favorevole alla condivisione ma notava che con i Social media “lo scemo del villaggio si convince di essere un guru a causa dei suoi follower”. Vero, se si pensa al Barnum dello spettacolo, ma atteggiamento manicheo che da qualche anno si cerca di superare con studi psicologici specifici, a partire da quello fondamentale di Patricia Wallace, La psicologia di Internet, ed. Cortina .2016, trad. di Danila Moro, introduzione di Paolo Ferri e postfazione di Stefano Moriggi.

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Wallace vede internet come nostra protesi, ne mostra i vantaggi nell’apprendimento, dubbi in quelli scolastici (per es. tre studenti dell’Università di Brescia si sono attribuiti la lode ad esami mai fatti), e i danni che può provocare: oltre alla violenza verbale, l’ossessivo controllo delle email che arriva mediamente a 75 volte al giorno (dati dell’Associazione nazionale dipendenze tecnologiche).

In Usa ne dipende l’87% degli adulti. Si controlla il cellulare al lavoro, a cena e a letto, la mamma lo usa mentre allatta o cambia il pannolino, il presidente Trump governa attraverso i tweet (non rivelando quelli a lui contrari).

Le statistiche mostrano che gli studenti migliori a scuola sono quelli che consultano il loro Social un paio di volte la settimana: capaci di usarlo, ma non Incantati dalla rete, titolo felice di Carlo Formenti, ed. Cortina 2000, superato nella parte tecnica, ma non in quella ideologica.

Opinione contraria a quella di Wallace la esprime Sherry Turkle in La conversazione necessaria, Einaudi 2016, trad. di Luigi Giacone, secondo cui gli sms distruggono l’empatia, sono superficiali e soprattutto sono una fuga dalla condizione umana più creativa, quella della solitudine e della noia, tempi necessari per mantenere la nostra umanità. L’umanità è parlarsi, guardarsi negli occhi. In politica e nelle aziende è capacità di concentrarsi per essere creativi.

Comunico, dunquTMasono, sostituisce oggi il cogito cartesiano.

Conta soprattutto l’empatia, scrive Laura Boella: Empatie, ed. Cortina 2017, che non comporta andare d’accordo, ma comunicare all’altro emozioni diversificate, anche in conflitto con le sue.

In ginocchio davanti a Internet, narcisista e provocatorio è Kenneth Goldsmith, Perdere tempo su internet, Einaudi 2017.

Traendo le somme del suo studio, Wallace annuncia l’Internet delle cose: gli oggetti, i frigoriferi, i giocattoli avranno i loro chip incorporati, sarà sempre controllato il nostro stato di salute e quello ormonale, il tasso alcolico e le nostre emozioni, le nostre conversazioni in camera da letto, il nostro cellulare anche se spento. Per difenderci dovremo inventare continuamente nuovi linguaggi, anche se, proprio per le sue dimensioni il sistema potrebbe anche collassare. Ma in ogni situazione dobbiamo “ricordare sempre di essere umani”.

la-quarta-rivoluzioneUna possibile continuazione del suo libro si legge in Luciano Floridi, La quarta rivoluzione. Come l’Infosfera sta trasformando il mondo, ed. Cortina 2017, traduzione di Massimo Durante. Floridi, professore di filosofia ed etica dell’informazione a Oxford, affronta il futuro psicologico del nostro mondo.

Secondo Floridi noi viviamo nell’Iperstoria, la fase che segue la preistoria e la storia. Negli ultimi cinque secoli l’uomo ha visto ridimensionato il suo ruolo sulla terra dalle scoperte di Copernico, Darwin e Freud. Oggi abbiamo un potere immenso che è in realtà un macigno: siamo sommersi dai Big Data che ci costringono a vivere in un eterno presente. Perdiamo il passato (la vita media di un cd e dvd è di 5/10 anni, milioni di pagine sono continuamente abbandonate, nè sappiamo che ambiente iperstorico stiamo costruendo, possiamo chiamarlo Infosfera. Ed è questa la quarta rivoluzione, l’ulteriore ridimensionamento dell’uomo.

Nei Social network, in un mondo completamente collegato, non riusciamo più a dar forma a noi stessi, la nostra identità si sfalda schiacciata tra il nostro Io autentico (aggiungo: posto che io sappia chi sono), il come ci presentiamo e come ci vedono gli altri. Raccontandoci intimamente a vicenda, siamo le nostre informazioni. Nell’Infosfera la domanda non è più: Chi sono per te? Ma: Chi sono online? Il nostro corpo diventa trasparente e condiviso, un organismo informazionale (inforg) che condividiamo con altri. Persa l’individualità, per non essere anonimi dovremo raccontare sempre più di noi stessi.

La perdita della privacy sarà il prezzo pagato per entrare nell’Infostoria.

Floridi scrive che dipenderà da noi l’Infostoria in cui vogliamo vivere e conclude facendoci sorridere: in passato il fornaio sapeva tutto della nostra età e della nostra spesa, così la banca e la società telefonica, il gossip dei vicini poteva farci a pezzi.

E se i Social mi danno fastidio? Posso restare anonimo o guardare solo la televisione che non comporta una partecipazione attiva. Eppure, nelle audaci previsioni del futuro io credo manchi un’evidenza, tutti siamo già forzati ad entrare nell’Infosfera attraverso una moltitudine di app necessarie. Già ora quasi tutti i servizi dipendono da internet

Il sistema” ha convinto che un universale voyerismo dà sicurezza ed è più importante della libertà. Sorvegliare e punire, direbbe Foucault.

Scenderà un silenzio definitivo su Keynes che riteneva sufficienti per vivere tre ore al giorno di lavoro o i socialisti dell’Ottocento che ne chiedevano otto.

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