Sherlock & Elementare (1)

giugno 19, 2015 in Racconti e poesie da Claudio Ianni Lucio

10522895_10203952423868810_179927443_nInizia con questo episodio una serie di racconti dedicati all’investigatore e all’assistente più famosi di sempre. I due si muoveranno seguendo traiettorie razionali, laddove possibile, lungo la porzione reale delle coordinate cartesiane e incontreranno altri personaggi noti, secondo lo stesso meccanismo che permette alle veline d’innamorarsi dei calciatori con una precisione nell’ordine delle dieci cifre decimali. “Gireranno, vedranno gente, si muoveranno, conosceranno, faranno delle cose”, riassumerebbe Moretti.

Progetto grafico a cura di Pietro Naoni (naozzy@hotmail.it).

I

Il problema nel doversi travestire da Waldo è che virtualmente non puoi dimostrare di aver svolto il tuo compito, poiché, se ti fossi waldescamente camuffato con perizia ineccepibile, non verresti certo identificato con semplicità.
D’altro canto, resta nella natura stessa di Waldo, in accordo anche con la legge dei grandi numeri, la possibilità, seppur remota, di essere trovato.
Ora, considerando l’eventuale “cercatore di Waldo”, dovremmo trattarlo come fosse un qualunque imprecisato elemento (a’) all’interno della serie (an = an – 1 + k), di origine a0 sconosciuta, progressione k di entità ignota (per comodità costante) e con n-esimo termine (an = a + (n-1) k ) virtualmente indefinito e approssimabile a infinito, di tutti gli n “cercatori di Waldo”, siamo costretti a ritenere la sua distanza da aW (momento/punto della successione in cui Waldo viene realmente avvistato) indeterminabile. Perciò, in accordo col principio d’indeterminazione, Waldo è, nell’istante a’, effettivamente esistente (ma anche non esistente) nel punto stesso (smettendo di esistervi una volta giunti al punto successivo, nel caso in cui Waldo abbia effettivamente continuato a non esistere in ogni frazione di a’) e in ogni punto a’ + k successivo.
Da ciò si ricava che l’esistenza di Waldo, nel caso dato qui per certo che ne esista uno – anche perché altrimenti, senza attribuire carattere di verità a Waldo, sarebbe inutile cercarlo -, viene, fino all’avvistamento (ossia aW), ritenuta vera grazie al primo postulato della Legge di Waldo, cioè: “Waldo esiste”.
Il primo postulato di tale legge, però, trova la sua sostanziale verifica (a posteriori) solo nel momento aW, ritenuto a sua volta possibile in virtù del postulato I o di un punto aW’ noto di identità a0 ≤ aW’ < a’.
La correlazione peculiare tra le variabili componenti il teorema di Waldo agisce in modo tale da rendere la ricerca necessaria, indipendentemente dalla reale presenza di Waldo in un ipotetico aW, al fine di stabilire se sia corretto reputare ch’egli sia verificabile in un possibile aW indeterminato; la sua mancata ricerca futile (considerando il primo e, questa volta, indubitabile postulato, nonché derivato dalla Legge di Waldo, della Legge del cercatore di Waldo, cioè: “si vuole trovare Waldo”) e la mancata identificazione scarsamente indicativa della verità o falsità di Waldo.

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Breve storia di asincronia ed evasività

Sherlock Holmes, dopo lunghi mesi di ricerche svolte da Watson, rintraccia Waldo alla stazione ferroviaria di Macondo.
Durante quelle lunghe settimane, Waldo era riuscito a nascondersi alla vista di José Arcadio Buendia, standosene in piedi dietro l’albero al quale quest’ultimo venne malignamente legato. Furono mesi duri per Waldo. I suoi bisogni fisiologici dovevano sempre aspettare che il patriarca dei Buendia si addormentasse, prima di trovar soddisfazione. Automezzi in transito, o grosse carovane, lo avrebbero aiutato almeno a mascherare i peti, ma non ne passava uno che fosse uno, figuriamoci uno che fossero due, o tre, o via discorrendo.
Solo quel lercio di Melquiades passava di lì, ogni tanto, come la marea che s’alza soltanto per portarti via quando ti sei addormentato ubriaco su un pedalò del bagno 21 Isolabella, trasportandoti fino alla Fossa delle Marianne, che però è sempre priva di Marianne e stracolma di fossa. Ma a Melquiades non importava un copeco di Waldo, l’aveva già visto una volta nel giardino delle esperidi – che non c’erano -, dove fu assai facile avvedersi della sua presenza.
Pare che lo zingaro non si fosse stupito granché dell’assenza delle figlie di Notte e Oceano nel loro stesso giardino. Non si stupiva da anni, Lui. A pochi passi dal giardino, superando l’affilata ombra pomeridiana di Atlante, mastodontico progenitore degli stacanovisti, si fermò. Girata la testa all’indietro, pensò che fosse il caso – lo era sempre – di farsi gli affari altrui. “Potresti anche voltarti dall’altra parte, una volta tanto. Non fai altro che guardare le tue figlie, sei un padre morboso”, rimproverò al gigante.
“Non sono figlie mie. E tu non sei nella posizione di dare del morboso a nessuno. Ti vedo da qui, sai? La tua preoccupazione maggiore è creare problemi agli altri. Non sei nemmeno una persona, ormai, solo uno spettro”, fu la replica tuonata da Atlante, che poi soffiò via un ammasso nuvoloso da sopra il giardino.
“Separi cielo e terra da secoli, millenni; Oceano e Notte non possono che incontrarsi all’orizzonte, lontano da qui più di quanto possa andare la mia vista; Lei ti si struscia addosso dal tramonto all’alba e le esperidi, con tutti i posti che c’erano a disposizione sotto la volta celeste, le ha partorite proprio qui. Che io sia uomo o spettro non fa alcuna differenza, non credi?”, disse Melquiades, per poi non dire nient’altro, lasciando la colonna portante del soffitto terrestre a pensare una replica tutt’oggi taciuta.
Forse, se avesse fatto una capatina anche dalle parti della Fossa delle Marianne, avrebbe potuto partorire una qualche massima da uomo di mondo, un’incisiva riflessione sulle donne, la vita e la statistica. Sarebbe giunto a fondamentali conclusioni riguardanti il destino, il tutto e tutto il resto che c’è oltre il tutto. Ogni sua credenza si sarebbe fusa insieme alle altre, dando origine a una bislacca spiegazione della realtà. Nulla di ciò accadde.

Insomma, c’erano Sherlock Holmes, Elementare Watson e Waldo, proprio come in una barzelletta. Waldo indossava una cuffia con i colori invertiti rispetto al solito; e Sherlock, che mai l’aveva visto, dubitò del lavoro di Watson – ben sapendo che uno non è che si chiama Elementare così a caso. Sherlock Holmes non ha mai creduto nelle coincidenze, e nemmeno nelle olimpiadi, però credeva nella senape e nella pelle morta che si stacca dalle gambe e dovresti fare uno scrubbing, ma non lo fai, perché poi Watson pensa che tu abbia piacere se entra in bagno mentre fai la doccia e ti osserva con la scusa di “imparare il mestiere” – .
Holmes si trovò quindi costretto a chiedere: “Ehi, sei tu Waldo?”
E Waldo rispose: “Waldo chi?”.
E Sherlock Holmes pianse. Molto. E per molto tempo.

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