Donna vela libertà (2)

agosto 26, 2025 in Approfondimenti da Viola Allegri

Questa seconda e ultima puntata prosegue con le tempeste di “Sola intorno al mondo” di Isabelle Autissier, le esperienze di Catherine Chabaud, ed altro

 

Isabelle Autissier

Isabelle Autissier

Continuo col libro di Isabelle Autissier: il 7 gennaio 1977 si trova a 50° di latitudine S e a 131 ° W di longitudine, a pari distanza tra Nuova Zelanda e Capo Horn: Barometro in caduta libera, ho rotto di nuovo la drizza (la corda con cui si alzano fiocco e randa) nonostante l’avessi controllata ieri. Drizze, siete delle vere baldracche… con quello che mi siete costate, vi rompete ogni momento, siete spudorate. Quindi sale a 25m di altezza sull’albero per una drizza di emergenza (immagina quanto vola sul mare dei 50 urlanti), ma il bozzello in cui la drizza passa è rotto, quindi la barca resta sbilanciata. Un po’ per gioco, un po’ per sentire la mia voce, parlo alle nuvole, agli uccelli, alla barca: passerà, non preoccuparti. 

Casino pazzesco, tornando da una manovra il mio braccio scontra il comando del giropilota. La barca ha sbandato. Scuffia, albero in acqua. Per giunta, quando la barca è coricata, l’acqua entra dall’alto della cassa di chiglia. Un’ora e mezzo di lavoro per rimettere tutto in ordine. Mezza giornata dopo si è punto a capo: un altro casino, ancora il pilota automatico, stavolta per effetto di un’ondata. Tutto è zuppo. Probabilmente l’acqua passa dai pistoni della chiglia. È difficile metterci una toppa.

Come un naufrago guarda il salvagente, così lei guarda il barometro: Lo incoraggio: su, alzati di un decimo di millibar, piccolino, forza, resisti…No, no, non scendere di nuovo…Ah, carogna, non abbiamo abbastanza guai? Aggrappata al tavolo di carteggio ho, per la prima volta, la sensazione di subire e basta. Di uscire non se ne parla, il ponte è coperto di bianco. Bianco come un sudario? Sento che bisogna fare presto, sfuggire a quelle bocche spalancate (le onde).

Autissier alla manovra

Autissier alla manovra

Ogni tanto una riesce a farmela, è rimasta acquattata dietro alle altre e si avventa rombando, imprevista, in un secondo fa coricare la barca con una violenza inaudita, poi si allontana borbottando di piacere per lo scherzetto. Istintivamente mi sono lasciata scivolare sulla panca per inarcarmi contro il soffitto della cabina, per tenermi incastrata mentre la barca è in orizzontale e aspetto che si raddrizzi e si rimetta in rotta, ostinata e suonata come un pugile alla fine di un round…Non si raddrizza, come sfinita dalla lotta impari, sforzandosi di riassettare la sua carcassa sotto la spinta del vento. L’ondata successiva può darle il colpo di grazia, rovesciarla del tutto. Ora sono fuori dal tempo. Non esiste niente al di fuori di questo corpo a corpo. È a 57° Sud, sente il mare che le parla: Credevi di cavartela così, in scioltezza con le mani in tasca e 40 nodi di vento massimo (un nodo marino corrisponde a un miglio all’ora). Te l’ho fatta eh, te la faccio quando voglio. Non mi va che non mi si prenda sul serio. Ah, come me la ridevo nel vedere la tua faccia davanti alla caduta del barometro, d’un tratto hai fiutato la trappola, troppo tardi bellezza, su, rizza bene tutto, comincia il rock scatenato dei Cinquanta. Una volta in ballo lancio le mie onde, ne faccio volare la cresta, faccio gemere i miei venti, a poco a poco mi scateno, lascio salire il grido degli abissi…Toh, guarda, sei al tappeto, sdraiata sulla tua bella barca, pancia a terra. Ne vuoi ancora? Posso fare anche di meglio, eccotene una bella rabbiosa, a schiaffo stavolta, albero sott’acqua ah, si direbbe che tu sia nervosa, e tu che voli attraverso la cabina e ti ritrovi contro il soffitto della cuccetta. Fatta la bua?… Ok, per stavolta la fai franca, ma attenta che fra un’ora si ricomincia. Oh, non si tratta di odio, del resto sei stata tu a venire qui, lo hai addirittura ferocemente desiderato…Su, va’, fila via, lascia ch’io faccia urlare i miei venti nella solitudine, so che ti ho segnata, oggi e per sempre, con un marchio dove c’è anche la morte, e sarà il nostro segreto…Ricorderai sempre che, a poche miglia da te, un giorno di gennaio, un uomo è finito nel rovescio di un’onda. Sono cento, sono mille coloro che cullo nei miei silenzi, sempre ne verranno e sempre preleverò la mia parte. 

Al contrario, nella risalita dell’Atlantico, c’è bonaccia, Isabelle parla al vento: Idiota, muoviti un po’, ti saltasse in mente di fare una scorreggia. Mi sembra di sentire i commenti degli amici a terra: che cazzo combina? Fa la calza?

Catherine Chabaud

Catherine Chabaud

Un’altra grande marinaia è Catherine Chabaud che in due precedenti diverse regate ha rotto l’albero e lo spinnaker, a tratti scrive la sua storia al plurale, come Cicerone e il papa: Intorno a noi il mare è una furia, il vento spazza la superficie delle onde come sabbia nel deserto. Attraversiamo le tempeste alla cieca, il paesaggio è assolutamente surreale, spero di poterlo dimenticare. Il mare ha portato via Marie-Agnès. Philippe, Gerry, Eric, Nicolas, Paulo. Chi sarà il prossimo? L’oceano ci ricorda che siamo costretti a scendere a patti con lui. Può sollevare onde alte come montagne. Gli esseri umani, le loro imbarcazioni diventano allora i suoi giocattoli.

 

Fastnet forza 10Spesso anche l’Atlantico non perdona. Orribile fu la Fasnet 1979. Da leggere il libro Fastnet, Forza 10 di John Rousmaniere, un classico della letteratura nautica, che si distingue per gli straordinari dettagli e il coinvolgimento emotivo. L’autore, navigatore esperto e partecipante alla gara su uno sloop (barca a un albero), racconta gli eventi con uno stile avvincente, portandoci direttamente nelle pieghe della tempesta. Il libro offre un’analisi approfondita delle cause del disastro, delle difficoltà affrontate dagli equipaggi e delle lezioni apprese dalla comunità velica. Dei 303 yacht partiti l’11 agosto da Cowes, solo 85 conclusero la prova, devastati da una tempesta improvvisa e violentissima che colse di sorpresa anche i più esperti. Mentre le imbarcazioni si dirigevano verso il mitico faro del Fastnet Rock, al largo delle coste irlandesi, una depressione atmosferica si intensificò rapidamente. I venti superarono i 70 nodi (oltre 130 km/h) e le onde raggiunsero altezze di 15 metri, trasformando l’Atlantico in un inferno. Molte barche furono rovesciate o affondate. Dei 2500 velisti in gara, 15 persero la vita. 

Una domanda soffia nella mente: perché affrontare questi pericoli? A parte le retoriche, la mia risposta è: per vivere un’altra dimensione. Il contesto: è il mare che  mi chiama.

 

 

 

Condividi: Email this to someoneShare on FacebookTweet about this on TwitterShare on Google+Pin on Pinterest