Donna vela libertà (1)
agosto 13, 2025 in Approfondimenti da Viola Allegri

Susanne Beyer
Mordo il culo agli avversari e sogno Baja (di San Salvador).
La tedesca Susanne Beyer rappresenta bene il senso della regata in altura e in solitario: seconda tra le donne nella Minitrans (Mini Transatlantic), da La Rochelle (la Francia è la patria della vela) a San Salvador, 4.200 miglia (1 miglio nautico corrisponde a km 1,852), unico scalo a Madera.

La rotta del Vandee Globe
È la traversata dell’Atlantico con derive di solo m 6,50, lottando con le violenze dell’oceano che lancia onde anche di 10 m spinte da venti che superano i 100 km orari. Non c’è altra regata così dura, pura e straordinaria, a parte Il Vendée Globe, il giro del mondo in solitario che affronta il Capo di Buona Speranza, quello di Awkland e Capo Horn: 24.366 miglia. Tre Capi dove gli oceani si incontrano con onde rompenti, furiose e in contrasto tra loro, spinte da venti vorticosi, a sud del mondo al limite degli iceberg.
Susanne è una delle donne che ha aperto, attraversando gli oceani in solitario, un mondo rigorosamente maschio.
Tra le regate più difficili e tecniche è la Transatlantica in solitario, da Plymouth (GB) a Newport (Usa). Siamo nel 1976 e Ida Castiglioni con la barca Eva si piazza trentesima su 126 concorrenti dopo 37 giorni di mare. È la prima italiana in questa impresa, complessa perché il globo è una sfera e bisogna studiare una rotta che sia un arco a nord affrontando il freddo, i venti e le correnti contrarie dominanti nel Nord atlantico, una distanza di circa 3000 miglia nautiche secondo la scelta dei singoli skipper.
Ida, architetta ed esperta in comunicazione, non volle a bordo nemmeno la radio e fu anche data per dispersa. Da leggere il suo libro Eva, una barca e l’oceano, titolo che è risposta sarcastica dell’espressione usata dal colonnello inglese Blondie Hasler che definì la Transat: Un uomo, una barca, l’oceano. Anni dopo, Ida pubblica con Rodolfo Bagliani Vela vela vela, un manuale completo, e il migliore, dalla forma della barca, alle rotte da seguire, ai nodi (che io approfondirei), all’esame per la patente nautica, cui seguono quattro pagine di test. Sul libro l’aspirante velista impara facilmente a portare una barca a vela, sia essa una deriva o un cabinato. In 280 pagine e 250 disegni, gli autori hanno concentrato l’esperienza acquisita durante anni passati in mare come istruttori di vela ed appassionati navigatori oceanici.
Ida è anche un esempio di come si passa negli anni dal piacere della vela (lo acquistò sul lago Maggiore con suo padre) alle regate semplici e poi d’altura, alle prove più difficili, alla competizione, ai record. Un esempio dell’ultimo caso è Giovanni Soldini che dopo aver vinto tutto, si dedica da anni a stabilire nuovi record con equipaggio su multiscafo, soprattutto trimarani.
È sbagliato immaginare in queste regate il barbuto muscoloso al timone. Vi partecipano invece solo persone di cultura, sogni illimitati, una profonda vita interiore, capacità tecniche e resistenza. Ad esempio, laureato in filosofia è Giancarlo Pedote, che fece per due volte la Vendée Globe, dopo aver dominato nelle 6,50. Ida frequentò la scuola di vela di Caprera all’inizio degli anni Settanta, probabilmente quando la frequentai anch’io. La scuola (l’unica in Italia) era gestita da istruttori francesi, una volta scuffio (la deriva si abbatte su un fianco orizzontale all’acqua) e il francese grida: desemmèrde-toi, non me l’aspettavo, come Ida non si aspettava di essere bocciata a quel corso.
Certe regate ne generano altre, come la Route du Rhum, la Newport- San Francisco 13.219 miglia che richiede di superare Capo Horn, infine il leggendario Vendée Globe.
Seguo in disordine le imprese di queste donne e delle loro barche (parlo solo dei monoscafi) che gli oceani rompono e distruggono in tutto quanto è possibile (albero, vele, scotte, drizze) e bisogna salire sull’albero (a volte spezzato) e ballare a più di 20 m per una riparazione, mentre le onde dilagano all’interno, tutto vola, e la marinaia sa che può finir fuori barca e disperdersi nel nulla. Una si ferì col coltello tra l’occhio e la guancia, ebbe da terra le indicazioni per curarsi.
Nel 1978 l’ingegnere navale polacca Chojnowska-Liskiewicz, per prima compie il giro del mondo in 401 giorni. Pensa che Magellano partì con 265 uomini, trovò lo stretto che porta il suo nome, la sua nave tornò senza di lui dopo 5 anni con 18 sopravvissuti, tra cui l’italiano Pigafetta che scrisse Relazione del primo viaggio intorno al mondo.
Nel 1988 Kay Cotee girò intorno al mondo in 189 giorni. In 10 anni erano cambiate la costruzione e i materiali: le barche erano più leggere, resistenti e veloci con vele e albero al carbonio, timoni automatici, fibre speciali per tutti i materiali: drizze e scotte, opera viva e opera morta, oltre a GPS e strumenti di comunicazione a terra da cui avere previsioni meteo (generali, non specifiche) e possibilità di comunicare.

Denise Caffari
Denise Caffari che fu la prima senza stop né assistenza ad attraversare il globo “contromano” cioè con venti prevalentemente contrari, da Est a Ovest in 178 giorni affrontando quindi per primo capo Horn con i danni che reca alle barche e alla psicologia di chi vi è sopra. Denise “Dee” Caffari è anche la prima ad aver girato il globo tre volte, sempre sola e senza stop in un mondo che dovrebbe chiamarsi Mare e non Terra dato che il mare ne copre tre quarti ed è pieno di vita, lotte comprese.
Nel 2009 l’olandese-tedesca Laura Dekker compie un giro del mondo in solitario su una barca di 38 piedi (1 piede nella nautica è cm 30,48), ma ha 16 anni, il record non è riconosciuto e se fosse tornata in Olanda, data l’età, sarebbe stata affidata ai servizi sociali.

Isabelle Autissier
L’ingegnere agronoma Isabelle Autissier, considerata la più brava finchè ha navigato in solitario, è, a mio avviso, la marinaia più simpatica per la spontaneità dei suoi libri sulle sue avventure e disavventure negli oceani, fra cui tre Capo Horn.
Da leggere il suo Sola intorno al mondo (1997) dove fra l’altro racconta il tentativo disperato di recuperare con la sua barca con vele a brandelli, l’amico Gerry che da 2 giorni non dava notizie di sé. Dopo un giorno in cui non riesce ad avanzare controvento, il Centro Regata di Parigi la invita a riprendere la sua rotta, per Gerry non c’è niente da fare.
Nella sua ultima regata in solitario Isabelle ha un’avventura terribile, resta dentro la barca completamente rovesciata nel Pacifico ed è salvata da Giovanni Soldini, pure in regata, che puntò verso il luogo ovviamente approssimativo dove lei era segnalata e riuscì a vedere tra onde e nebbia la barca rovesciata dentro la quale si trovava. In pratica una barca a vela non può rovesciarsi, può piegarsi fino a 90/120 gradi orizzontale al mare, poi si rialza per il peso e la lunghezza della chiglia, solo in situazioni estreme si va oltre la pratica, e la barca, piena d’acqua e travolta da grandi onde, si rovescia completamente.

La barca rovesciata di Autissier
Per scendere a capo Horn si affrontano paralleli storici: i 40 ruggenti e i 50 urlanti, i suoi venti possono soffiare fino a 220km/h e la grande massa d’acqua che vi confluisce fa scontrare le correnti atlantiche con quelle pacifiche. I venti sono dovuti alle correnti d’aria da ovest che corrono lungo l’Oceano Australe, colpiscono la catena delle Ande in Cile e accelerano, come in un corridoio, davanti alla collina del Capo, una roccia dalla forma semilunare che cresce a picco dalle acque gelide. La collina del Capo stringe il corridoio dei venti e i due oceani raddoppiano la loro forza, il fondale passa da 4.000 a 100m provocando onde altissime e caotiche con correnti potenti e variabili. Un vascello americano impiegò 65 giorni a superare il capo, un altro preferì fare il periplo dell’Antartico.
La seconda e ultima puntata prosegue con brani di Sola intorno al mondo
di Isabelle Autissier e altre avventure





