Klimt: figure e un ritratto misterioso (3)
aprile 6, 2025 in Arte e mostre da Laura Giuffredi

Klimt, Ritratto di Amalie Zuckerkandl – 1917
Paesaggi a parte, è la figura umana ad interessare molto Klimt e a trovare spazio costante nel suo lavoro, passando dalla stilizzazione decorativa alle più morbide e sfrangiate pennellate delle ultime opere. Se è vero infatti che su questo tema lo scambio con la contemporanea produzione di Egon Schiele e di Oskar Kokoschka lascia il segno, e vero anche che la strada percorsa dal nostro autore negli ultimi anni segue un cammino tutto suo, meno tormentoso ma non meno indagatore della psiche umana. Perderà infatti la cifra del decorativismo insistito, espresso soprattutto negli sfondi, oltre che negli abiti, costruiti ora con macchie informi di colore, e si concentrerà sui volti, che diventeranno punto focale della composizione.
Si veda a questo proposito il ritratto di Amalie Zuckerkandl del 1913-1917 (Vienna, Belvedere): incompiuta la coloritura dell’abito, tracciato a matita, ma non lo sfondo, a macchie dai tenui colori pastello, né il volto, espressivo ed eloquente, con lo sguardo direttamente rivolto all’osservatore, e le labbra appena dischiuse come ad iniziare un discorso.

Klimt , Ritratto di signora in bianco – 1917-1918
Oppure il Ritratto di signora in bianco, del 1917-1918 (Vienna, Belvedere), ove il busto della donna è ormai di un biancore informe contro uno sfondo bicromatico (chiaro a sinistra, scuro a destra) e trova nel viso, sorridente verso chi guarda, l’apice espressivo di una figura disinvolta nella sua asimmetria. Una resa pittorica che sembra preludere a successive soluzioni espressioniste.
A chiudere il cerchio di una ritrattistica sulla quale il pittore amò riflettere negli ultimi anni, contribuisce la vicenda del Ritratto di signora (1916-1917), oggi conservato nella Galleria Ricci Oddi di Piacenza.
Bella la storia di come si riuscì a ricostruire la genesi del dipinto, che in realtà ha una “doppia anima”, e una doppia pelle. Ci volle infatti l’intuito di una studentessa liceale, Claudia Maga, per comprendere che, viso a parte, sotto le pennellate del dipinto esposto nella galleria piacentina si celava la prima versione di un ritratto ritenuto perduto, Ritratto di ragazza (1910 ca.). Era il 1996 quando Maga notò l’incredibile somiglianza del volto dipinto con quello delle riproduzioni fotografiche di un ritratto ritenuto perduto: e le indagini radiografiche della tela confermarono la felice intuizione. Per un sovrappiù di mistero, la vicenda andò ulteriormente a complicarsi: rubata nel 1997, la tela venne poi ritrovata nel 2019 in una nicchia lungo un muro di cinta del museo piacentino, senza che, a tutt’oggi, si sia compreso chi e perché lo abbia lì collocato.

Klimt – Ritratto di ragazza – 1910
Nel dipinto in prima versione Klimt indulgeva ancora sui dettagli di un abbigliamento alla moda, dominato dalle larghe falde di un cappello scuro, che non nascondeva una ricciuta capigliatura ramata; nella versione rivista, invece, i capelli sono raccolti e l’abito leggero, con un accenno di fantasia su fondo bianco, appare semplificato triangolo contro il fondo, ove tormentate e corpose pennellate azzurro-verdi si affannano a coprire i dettagli della precedente stesura. Su tutto si staglia il volto, di tre quarti, che sembra interrogarci con un certo divertimento (forse anche in merito alle vicende misteriose sopra ricordate).

Klimt, Ritratto di signora – 1916-1917- Galleria Ricci Oddi di Piacenza
Se le “rivoluzioni” della pittura di Klimt (come illustrato nei capitoli precedenti) hanno scandito il suo lavoro, in una continua ricerca linguistica, attenta al contesto circostante, ma d’avanguardia nelle sue personali soluzioni, ci si può chiedere quali seguaci abbia lasciato, ad esempio in Italia, il paese da lui tanto amato. A parte quelli che presero da lui più che altro il decorativismo floreale e il preziosismo dell’oro, declinato nei modi più varii (si pensi in particolare al veneziano Vittorio Zecchin, che accentua la stilizzazione e la geometrizzazione delle forme), sarà soprattutto Felice Casorati a svecchiare, anche per il tramite di Klimt, il panorama artistico nazionale, inducendolo ad un necessario rinnovamento. Si veda in questo senso l’esile Nudino (1913 – collezione privata), dove la decorata tappezzeria, dai colori ormai smorti, è spinta in secondo piano dal sinuoso corpo di fanciulla, quasi monocromo e quasi bidimensionale, che domina, di spalle, lo spazio allungato del dipinto.

Vittorio Zecchin, Il giardino delle Fate, 1913 (part.)

Felice Casorati, Nudino – 1913