A Brescia gli uomini si dedicano le vie e dimenticano l’altra metà del mondo

febbraio 9, 2013 in Approfondimenti

Nell’articolo di Roberta Baschè, Donne, un’emancipazione incompiuta, si parla della toponomastica femminile: le vie, i vicoli, le piazze dedicati a donne illustri in Italia sono in una percentuale inferiore al 5%. E a Brescia? Leggi il resto di questa voce →

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Una donna spezzata

febbraio 9, 2013 in Recensioni

Il romanzo di Giada Lovelorn edito da Marco Serra Tarantola

CoverInflessibile. All’urto e al flusso della vita non si flette, pronta a spezzarsi pur di non piegarsi. Frangar… non flectar : il duro monito latino – mi spezzerò… non mi piegherò – fa da eloquente sottotitolo al romanzo Una donna spezzata (Marco Serra Tarantola). Un denso racconto biografico firmato – ancora una volta – da Giada Lovelorn, nome senza volto ma con un’anima semantica che rimanda tanto alla lucente durezza della pietra (Giada) quanto alla disperazione d’amore (Lovelorn). Connotazioni che ben s’addicono anche alla nuova pubblicazione (la terza dopo il romanzo Marta, 2004 e la raccolta lirica Vita di un amore, 2006, tutti editi da Serra Tarantola). Leggi il resto di questa voce →

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Intervista a Dario Fo

febbraio 9, 2013 in Interviste

Aprile 2010

dario_foMaestro, qual è lo stato della cultura in Italia?

In questo momento è pessimo perché abbiamo un governo che si disinteressa di ogni formula, ogni espressione creativa a cominciare dalle scuole ai teatri, io ne so qualcosa. Leggi il resto di questa voce →

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L’inchiesta agraria Jacini

febbraio 4, 2013 in Libri perduti o da tradurre

Dal 1885, quando fu conclusa, l’Inchiesta agraria Jacini se ne sta trascurata tra gli scaffali delle principali biblioteche nazionali. Il suo nome esatto è Atti della Giunta per la inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola. Si tratta della ricerca più vasta e completa fatta da un governo sul nostro Paese: 15 volumi, 23 tomi, tabelle e allegati statistici.

Si cominciò a parlarne nel 1869, l’anno in cui entrò in vigore l’imposta sul Macinato ed esplosero rivolte contadine soprattutto nel nord Italia.

L’Italia, al momento dell’unità era in condizioni economiche spaventose, a causa delle guerre e del debito acquisito dagli stati unificati, ma già nel 1875, con la cura feroce di Quintino Sella (tasse e alienazioni di beni nazionali e ecclesiastici), il governo era arrivato al pareggio di bilancio.

Molti erano i problemi e gli obiettivi che spinsero i governi di allora ad affrontare uno studio massiccio come l’inchiesta, ma quello di fondo era: perché l’agricoltura degli altri Paesi europei era più solida della nostra? Perché nessun paese d’Europa aveva tanti spazi improduttivi come il nostro? Che fare per cambiare le cose?

Sotto queste domande stava un’ammissione ampiamente verificata: i governi succedutisi dall’Unità, guidati perlopiù da uomini del nord e della Toscana, non conoscevano i bisogni dell’agricoltura del sud e nemmeno quali condizioni di lavoro ci fossero. Il parlamento non rispecchiava il Paese: nel 1880 gli elettori furono solo 369.624, ricchi provenienti dalle grandi proprietà fondiarie o dal mondo delle professioni. Essi conoscevano la Sicilia attraverso gli storici romani, quando era “il granaio d’Italia”, ma non l’avevano mai vista. Il primo presidente del consiglio che visitò il sud più povero (la Basilicata) fu il bresciano Giuseppe Zanardelli, nel 1902.

Vi furono forti dissidi tra i membri incaricati di preparare l’inchiesta, diretta da Stefano Jacini,sul metodo e i contenuti. Alla fine prevalse la linea di dividere le province in circondari (ad es. Brescia nei circondari della Città, Salò, Breno, Chiari, Verolanuova), di individuare una persona impegnata nel mondo agricolo, spesso dei proprietari, a rispondere a una cinquantina di domande (uguali per tutti i circondari) spazianti dalla geologia ai corsi d’acqua, al bestiame, alla produzione, al commercio, al credito, al tipo di proprietà  e infine alla condizione dei contadini. L’ultima domanda in proposito (l’unica che si riferiva direttamente ai contadini) era ferocemente paternalistica: condizioni fisiche, morali ed intellettuali dei lavoratori del suolo. Da cui sappiamo che, rispetto al passato, i contadini andavano meno in chiesa, rispettavano meno i signori, avevano un unico vestito (di fustagno, al nord), vivevano in case umide con la terra battuta come pavimento, i loro figli andavano a scuola saltuariamente, nella pianura Padana mangiavano sempre granoturco, e fioriva la pellagra.

Nella giunta incaricata dell’inchiesta, il solo ad opporsi a quel metodo fu il medico Agostino Bertani, mazziniano, repubblicano, rappresentante dell’Estrema Sinistra, il quale fu incaricato di uno studio a parte che condusse soprattutto sulle condizioni sociali e igieniche dei contadini interpellando i medici condotti del Paese. Bertani credeva che la crisi agricola fosse determinata soprattutto dai rapporti di lavoro e dalla miseria dei contadini. Il che spiegava anche la crescente emigrazione. La sua ricerca fu pubblicata col titolo Risultati dell’inchiesta istituita da Agostino Bertani sulle condizioni sanitarie dei lavoratori della terra in Italia.

L’opera che proponiamo non è di pubblicazione impegnativa. Basta che ogni città o provincia pubblichi quanto riguarda il proprio circondario. Sarebbe la preziosa conoscenza di un’Italia tanto lontana quanto degna di essere riscoperta.

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Arnaldo Abba Legnazzi, vincitore del nostro concorso fotografico

febbraio 4, 2013 in Arte e mostre

Arnaldo: da Brescia agli Stati Uniti.

Abba Legnazzi, 28 anni, ha il nome del nonno, Arnaldo; ama le sue radici bresciane ma sente forte la voglia di volare. Di viaggiare, per conoscere, per crescere. Per dare spazio e linfa alla sua grande passione: la fotografia. Leggi il resto di questa voce →

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Paintings in Proust

febbraio 4, 2013 in Libri perduti o da tradurre

Pubblicato nel 2008 negli Stati Uniti d’America, Paintings in Proust del pittore Erik Karpeles è un tributo a La recherche du temps perdu di Marcel Proust. Leggi il resto di questa voce →

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I quadri dimenticati del Seicento e del Settecento bresciano. Un catalogo necessario ad una pinacoteca necessaria.

gennaio 23, 2013 in Arte e mostre

Mina Gregori, una delle più illustri studiose d’arte dei nostri tempi, ha definito il nuovo catalogo della Pinacoteca Tosio Martinengo – limitato alle opere del Sei e Settecento – uno dei migliori volumi editi negli ultimi anni.

Pinacoteca-Tosio-Martinengo-ItinerariBrescia

I cataloghi scientifici dei musei italiani seguono, generalmente, il principio secondo il quale le collezioni di un museo si raggruppano per area geografica (pittura veneta, lombarda, emiliana, etc…); all’interno di ogni area, si succedono le schede dei dipinti ordinate alfabeticamente, per autore.
Il catalogo della pinacoteca bresciana si conforma, in linea di principio, a questo modello; con una variante molto significativa, che ha suscitato perplessità in non pochi addetti al settore. I curatori – Elena Lucchesi Ragni e Marco Bona Castellotti – hanno tentato, nella prima sezione del volume, legata alla pittura bresciana, di accennare ad un criterio storico artistico che andasse oltre la consueta prassi catalogica: raggruppare sotto la “Pittura a Brescia” tutti i dipinti di artisti non necessariamente bresciani, che hanno lasciato in città opere di grande importanza. Sotto la pittura bresciana, per esempio, figura anche il veneziano Palma il Giovane; l’artista non è bresciano, ma le sue opere in città hanno costituito la base per buona parte della pittura del Seicento. Palma diventa parte integrante dell’arte locale; diventa “bresciano”. Opere che a Venezia si sarebbero disperse nella marea della pittura manieristica, nella Lombardia orientale sono diventate materia su cui lavorare per creare nuove strade, da parte dei pittori che volevano svincolarsi dai modelli cinquecenteschi, ancora moretteschi.
La questione, che può sembrare capziosa ai non addetti ai lavori, si rivela di grande importanza quando si tratta di giudicare l’ampiezza dello sguardo di un volume e la prospettiva che lo ha generato. Sfogliare la prima sezione del volume – bella impaginazione, classica e chiara – è fare un excursus sull’intera storia della pittura bresciana. Un criterio analogo non è stato applicato ai dipinti delle altre scuole italiane e straniere; questa discrepanza è ampiamente giustificabile per il fatto che la pinacoteca di Brescia non è sufficientemente rappresentativa di tutte le altre realtà locali e, quindi, sarebbe stato ridicolo tentare una storia della pittura marchigiana o napoletana nel seno delle collezioni comunali.
La novità sin qui rilevata non è sconvolgente; non rivoluziona il modo di fare cataloghi; tuttavia, tenta un discorso diverso in un settore in cui pochissimo spazio è concesso alle varianti sul tema.
L’ironia della sorte è che, accanto alla scelta di pubblicare le opere meno note della pinacoteca bresciana, rivalutando un periodo tutt’altro che morto per l’arte locale, manca una pinacoteca in cui esporle.  Si resta sorpresi del fatto che, nel progetto del nuovo allestimento di palazzo Martinengo da Barco, presentato all’uscita del catalogo, nessuna sala venga riservata ai secoli di Palma il Giovane, di Francesco Paglia con i suoi figli, di Pietro Scalvini e di Andrea Celesti. Pitocchetto a parte.

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La favola italo-messicana

gennaio 23, 2013 in Recensioni

C´era una volta, in una fattoria lontana, lontana, un bel pollaio…
Là, le galline chiocciavano felici, fiere dei loro pulcini. Ma un mattino di sole, bello di luce, ecco un´ombra: Mamma Chioccia resta a becco aperto nel vedere il suo neonato. Com´è strano! E´ diverso. Di zampette non ne ha due, ma tre; anzi no quattro; oddio, di più! Leggi il resto di questa voce →

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NO PORK

gennaio 22, 2013 in Approfondimenti

Brescia, da città dalle mille fontane a città dai mille parcheggi.
Che cosa farei se avessi 22 milioni di euro
Da parecchio tempo a Brescia si discute sull’utilità del nuovo parcheggio in galleria. Un’ opera definita “fondamentale” per la città che costerà 22 milioni di euro. Essa è in totale contrasto con l’idea di mobilità portata dal nuovo metrò che nel 2013 comincerà a funzionare decongestionando in parte il traffico. L’ipotetico parcheggio avrà 600 posti auto. Il limitrofo parcheggio di Fossa Bagni ha in media 150 posti auto liberi giornalmente. Il parcheggio in fondo a Via Turati che copre piazzale Arnaldo è in completamento. Ma allora perché volerlo fare a tutti i costi? Sicuramente qualche impresa edile ne verrebbe avvantaggiata, come l’occupazione. Ma dall’altra parte, chi e cosa si perde?

Brescia vanta il vigneto urbano più grande d’Europa, lo sapevate? Il riconoscimento ai monumenti del centro ricevuto dall’UNESCO va salvaguardato lasciando intatto il territorio, non squarciandolo per accogliere le auto dei visitatori di Santa Giulia. I bresciani abituati a parcheggiare sotto casa (ad esempio il parcheggio di piazza Duomo) si invogliano a prendere i mezzi pubblici. Non è necessario parcheggiare in centro. Dal parcheggio di Fossa Bagni esiste la possibilità di arrivare in centro non pagando il pedaggio per una sola fermata con l’autobus. Si scende a due passi da piazza della Loggia.
Se dovessi avere in tasca 22 milioni di euro e proprio fossi costretto a spenderli in un opera che aiuti la mobilità cittadina, guarderei al passato. Le grandi opere, ai tempi della crisi, è necessario che siano utili, non solo grandi.

La nostra stazione dei treni ai primi anni dell’800 era coperta, come la stazione Centrale di Milano. Perché non pensare a coprirla nuovamente? Rimanendo fedeli al disegno originale o (perché no?) lanciare un concorso di idee per una nuova contemporanea struttura metallica? Creerebbe occupazione, ed anche attrazione. Invece la stazione è diventata un piccolo triste centro commerciale, privo anche di un ingresso unico. Caratterizzarla come un tempo sarebbe un recupero filologico.
Mi piacerebbe riavere anche la vecchia funivia, che porta in Maddalena.
Funivia Maddalena
Se ne è parlato nell’agosto del 2009. I bollenti spiriti che colpiscono i bresciani sotto la canicola agostana troverebbero un sicuro refrigerio. La vecchia funivia inaugurata nel 1955, costruita da Ceretti & Tanfani con cabine da 35 posti percorreva un dislivello di 650 metri a 7,5 m/s. L’ultima corsa fu nel settembre del 1969 e fino al 1973 funzionò come impianto scuola-guida per i macchinisti. Questo blog spiega bene com’era e com’è allo stato attuale: http://www.funiforum.org/funiforum/showthread.php?t=271 Si può vedere anche il video dell’inaugurazione http://www.youtube.com/watch?v=aBLd6DrFWLE. E’ un altro modo di riportare la montagna vicina ai bresciani. L’unico grande scoglio, oltre quello economico, sarebbe la delocalizzazione del ristorante Funivia (appunto) che da anni occupa i locali della stazione di partenza.

Mi piacerebbe anche il ripristino della ferrovia Brescia Salò.  Come è coperta la tratta che porta in val Camonica e che lambisce il Sebino, sarebbe altrettanto bella (anzi, utile) una ferrovia che portasse sul Benaco occidentale. Desenzano è già raggiunto dalla ferrovia. Sarebbe di sicuro vantaggio per i pendolari, aiuterebbe a decongestionare la strada. La nuova tangenziale è utilissima, certo, ma perché non guardare oltre? Togliere il trasporto su gomma in favore di quello su ferro avrebbe certamente l’appoggio della Comunità Europea per un’opera che verrebbe certamente usata.

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A te… che non sei forma: la nuova silloge poetica

gennaio 22, 2013 in Recensioni

Duri frantumi, fragori, strappi feroci. Malesseri e gioie, ansie e paure… E’ una multiforme danza – verbale e grafica – quella che si muove tra le poesie e le illustrazioni di Tommaso Calarco (Messina 1960, residente a Brescia) raccolte nell’antologia A te… che non sei forma (Albatros pp. 79 € 11.50)
Poetici segni – e disegni – densi di un’energia tesa, aspra, enigmatica.

Intreccio spaventi,/ speranze, sogni,/ illusioni, poche/ certezze.  Quella, per esempio, che la vita è ricerca nel fondo del più fondo dei misteri. E tanti sono i buchi neri, pesanti… spenti a ingombrare lo sguardo di un io lirico che fruga nel cosmo compositovorticoso deposito là fuori e attorno; ma forse soprattutto dentro, nei luoghi segreti dell’animo.
Oscuri, tortuosi meandri di un cuore sfatto, colmo di vuoto; mentre molto troneggia sul niente  e – tra aporia, confusione e follia – il mondo è bordello e pesante fardello.
E grido tempesta dentro l’odiata/ quiete… La vita è perpetuo movimento, dissonante, sfuggente; anche l’amore – tra il visibile e l’invisibile – rimane negli interstizi.

E il cammino è riconoscibile (forse) per metà; il resto è solo roccia scistosa/ che non ha forma/ né consistenza… Frane. Frammenti. Incroci e dolorosi incanti, ombre scure e delicatissimi fiori, cocci di vetro e sorrisi; e poi l’impercettibile palpito (erotico?) dei rami di un gentile ciliegio in fiore che vorrebbe amare e volare.
Anche Icaro vola, ma qui il suo volo non si scioglie. Sale in alto. Come un Sogno. In alto, sopra il bisogno che sta giù, dentro una magmatica realtà che – con rabbia e disperata speranza – Tommaso Calarco canta. Per dirci dell’amara bellezza dell’esistere.

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