Come diventare schiavi del feudalismo imperiale e della sua economia

ottobre 25, 2016 in Recensioni da Silvano Danesi

copLeggere una pagina a caso è aprirsi a panorami, a mondi, a suggestioni, a sensazioni, ad emozioni, a incontri, ad “aure” e a “camere delle meraviglie”. Ogni pagina è uno scrigno di tesori. Impossibile, pertanto, ogni sintesi di: Archetipi, Aure, Verità segrete, Dioniso errante, i quattro saggi di Elémire Zolla che l’editore Marsilio (che ne sta pubblicando l’opera completa) offre racchiusi in un unico volume con un saggio introduttivo di Grazia Marchianò, dal quale traggo solo questo pensiero: Che cosa è mai l’interesse spirituale? Evidentemente non un tornaconto egoistico o altruistico, entrambi egocentrici, ma il tenace intento di affinare la qualità dei nostri sentimenti, pensieri e atti. Ne risulteranno un sentire, un pensare e un agire per il fine esclusivo che ci impegna. 

Da Archetipi, saggio essenziale per comprenderne la potenza, estraggo alcuni concetti riguardanti gli archetipi politici, ossia la “degenerazione” della funzione archetipale. Zolla ci spiega come i sapienti, per comunicare la loro conoscenza illuminativa, la traducano in cosmogonie e in storie di dèi, e del come la degenerazione di tali traduzioni del mondo archetipale le trasformi nel “mito di fondazione di un regime, nella giustificazione di un’autorità”.

“I simboli dell’illuminazione interiore – scrive Zolla – diventano archetipi politici e le moltitudini ne restano incantate; non li possono comprendere, ma avvertono vagamente un soffio d’altro mondo e così restano magnetizzate da ciò che fu e non è più la luce della conoscenza”.

Così il mito di Romolo celebra la comunità nell’atto in cui nasce, quello di Augusto l’universalità di Roma. Costantino incarna il mito dell’impero universale sacro, al quale si opporrà quello teocratico del Sacro Romano Impero.

I due miti daranno luogo in Europa alla lotta delle investiture e al confronto tra guelfi e ghibellini.

“L’archetipo dell’impero –  scrive Zolla – s’è trasferito negli Stati Uniti, retti dal complesso mitico importato nel 1776 per novus ordo seculorum, com’è scritto sui biglietti da un dollaro” [in effetti: novus ordo seclorum, ndr].

In Aure ogni pagina ci trasmette il fascino di mondi scomparsi o in via di sparizione in un Occidente in declino, suscitando in noi una romantica nostalgia.

Nel saggio Verità segrete Zolla è profetico e con una frase icastica fissa l’immagine dell’orizzonte ideale nel quale ci costringe l’ideologia della globalizzazione consumistica: “L’aldilà della quotidianità è l’apoteosi dell’immondezzaio”.

Del tempo della globalizzazione che ci consegna ad un nuovo feudalesimo dell’impero finanziario con i suoi vassalli e valvassori; che vuole costruire l’uomo neutro, senza patrie, senza radici, senza ideali, mero consumatore della quotidianità, Zolla profeticamente scrive: La quotidianità è lo stato dell’uomo che ha cessato di proiettare fuori di sé le antenne che gli possono consentire di cogliere gli stati superiori dell’essere. Un urlo di orrore sfugge a chi per un momento si ridesti dal mondo del quotidiano e si veda circondato da gente che in questa oppressione vive senza nemmeno avvertirne l’asfissia: conversa di   fatterelli, di squadre sportive, di spettacoli televisivi, di vicende da rotocalco, sta sommersa nell’immondizia come in un bagno di vapore che la stordisce. Chi vive del quotidiano nel quotidiano non saprebbe più infilare un sillogismo all’altro, la deduzione lo spossa, la sintesi lo urta, se gli si parla di vita interiore crede che si intenda il fantasticare della sua mente ignara di significati.

L’uomo quotidiano è l’uomo neutro, del quale scrive Claudio Risé; è il nuovo servo della gleba, metamorfosata nel debito pubblico.

Con   l’invenzione del debito pubblico mai ammortizzato –  scrive   Zolla –  torna visibile la schiavitù; con la parte del reddito individuale destinato a pagare il debito pubblico se ne creano i titoli; e il suddito, illuso di essere un libero cittadino, è venduto, pignorato, sottomesso alla banca col titolo che rappresenta la sua quota-lavoro: egli «è» quel titolo.

L’uomo del quotidiano è senza immaginazione e poiché chi è “versato nella scienza dell’immaginazione sa cogliere le tenui premonizioni d’una catastrofe” e sa che quando “mutano i sogni”, la “città è prossima al crollo”, all’uomo del quotidiano appartiene l’inconsapevolezza del disastro; va incontro agli eventi come un animale al macello; è l’armento sacrificale del gregge degli ignari.

Infine, Zolla è profeta anche quando ci propone un dialogo tratto dalla novella politica di Disraeli Coningsby::“Per conto mio non c’è errore più volgare di credere che le rivoluzioni siano dovute a ragioni economiche. Senza dubbio, queste hanno la loro parte nel precipitare una catastrofe, ma di rado ne sono la causa. Non conosco un periodo, ad esempio, in cui il benessere materiale in Inghilterra fosse così diffuso come nel 1640. Il paese era moderatamente popolato, l’agricoltura progredita, il commercio florido, eppure l’Inghilterra stava alle soglie dei mutamenti più sconvolgenti e violenti della sua storia.

– Fu un movimento religioso.

– Ammettiamolo; la causa, dunque, non fu materiale.

L’immaginazione dell’Inghilterra si sollevò contro il governo. Il che dimostra, allora, che quando quella facoltà si scatena in una nazione, pur di seguirne l’impulso, si sacrificherà persino il benessere materiale”.

Dialogo di evidente attualità, in questo scontro di civiltà alimentato da un’ideologia della morte, il cui immaginario è un paradiso costruito trasformando la Terra in un inferno di violenze e di costrizione.

I quattro saggi di Zolla, non sono da leggere, ma da studiare, meditare, introiettandone i messaggi antichi di una tradizione che è base per un futuro dell’Umanità non offeso dalla tracotanza delle ideologie.

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