Dal sequestro della democrazia alla democrazia immunitaria. Siamo la prima generazione a pensare che saremo l’ultima
aprile 8, 2022 in Approfondimenti, Recensioni da Mario Baldoli
La rivolta irrompe ovunque nel mondo. Si accende, si spegne, torna a propagarsi. Varca i confini, scuote le generazioni, agita i continenti. Uno sguardo alla mappa delle sue esplosioni repentine, dei suoi moti imponderabile, ne attesta l’intermittenza nel frastagliato paesaggio politico del nostro secolo”, E’ l’inizio dello studio di Donatella Di Cesare, Il tempo della rivolta, Boringhieri editore 2020. Proviamo a sostituire la parola “rivolta” con “virus” e abbiamo lo stesso significato. Ma non occorrono sostituzioni. Di Cesare, professoressa di filosofia teoretica alla Sapienza di Roma, ha pubblicato lo stesso anno un libro dedicato al covid-19: Virus sovrano? L’asfissia capitalistica, Boringhieri.
Tra i cento libri sparsi sul virus, dalla sua nascita, diffusione, forma, varianti, future conseguenze, studi di epidemiologi e immunologi, preferisco quello di una filosofa perché solo la filosofia indaga tutta la realtà e non un episodio, per quanto grave.
La ricerca Donatella di Cesare, già espressa nel libro Sulla vocazione politica della filosofia, è il maggior tentativo oggi esistente, di calare non la filosofia in terra (come si suol dire), ma la metafisica nella società. Il collasso economico, il virus, il cambiamento climatico, l’ecologia, i migranti lasciati alla tortura delle guardie libiche, l’emigrazione, i senza tetto ai margini delle strade, i vinti della globalizzazione, l’economia del debito, l’incognita dell’accelerazione tecnica, ora aggiungono la guerra, ciliegina sulla torta al cianuro, prodotta dal capitalismo.
Il profitto si è rivelato il sigillo dell’ingiustizia, la garanzia della povertà dei più e dell’extraricchezza dei pochi. La parola “crescita” si riferisce solo a questi, non alla cura del mondo nel quale esploderà soprattutto la fame e, come insegna la geografia, quando i Paesi ricchi hanno il raffreddore, i Paesi poveri hanno la polmonite.
E’ possibile vivere? Gli Stati sono inabitabili perché abitare non è avere, essere padroni, ma essere, esistere, respirare. L’avere- già lo scriveva Erich Fromm (1976) – è il contrario dell’essere. Scrive Di Cesare Siamo la prima generazione a pensare che saremo l’ultima.
Per cominciare: c’è stato ovunque il sequestro della democrazia. Lo prevedeva Elias Canetti in Massa e potere (1960): Si vive tutti in un’uguale terribile attesa durante la quale si sciolgono i consueti vincoli tra gli uomini (…) chiunque potrebbe già portare in sé il contagio. Alcuni fuggono dalla città e si disperdono nei loro possedimenti. Altri si chiudono in casa e non lasciano entrare nessuno. Ciascuno schiva gli altri. Tenere gli altri a distanza è l’ultima speranza. Sequenza che ci affonda nella peste, dal Decameron a I Promessi Sposi.
Il sequestro della democrazia inizia prima del virus: il terrore dei profughi che arrivano sopravvivendo al mare (ma perchè il mare non li inghiotte tutti, che troveremmo più sapido il pesce in tavola?), antifurto, porte blindate, telecamere. Filo spinato, fotocellule e muri alzati dagli Stati “democratici”, gli Stati capitalistici confondono la democrazia con la garanzia. E ne convincono i sudditi. Tutta la tradizione del pensiero liberale si regge sulla negazione della libertà.
Parlare di stato d’eccezione è constatare per l’ennesima volta che la legislazione per decreto sospende le libertà democratiche e il diritto.
Il popolo non chiede partecipazione (a differenza di quanto avveniva nell’antica polis), ma protezione. E’ la democrazia immunitaria. Immunizzarsi è anestetizzarsi.
Due anni di coronavirus (la corona e il sequestro del respiro non sono a caso) erigono il mondo nuovo, quello della paura assoluta. L’isteria collettiva per cui il cittadino rinuncia volentieri alla libertà in cambio di ciò che crede sicurezza. Lo Stato trasforma il cittadino in paziente. Il capitalismo accademico non ha voluto capire il preannuncio del virus, ed è su questi “esperti” che lo Stato si appoggia. Quindi crea l’atmosfera di un abisso cosmico: disgrega le comunità, rende irriconoscibili i volti con le mascherine, censura i mass media, militarizza lo spazio pubblico, diffonde il linguaggio bellico, raccoglie e scheda le impronte digitali, disciplina i corpi, geolocalizza i sudditi, lascia che la polizia estenda le sue aree di intervento. La sua strategia è procedere di emergenza in emergenza. La democrazia odierna poggia sul sovranismo che è il potere dell’uno sull’altro. Nessuno pensa che verrà il suo turno, il flagello non è a misura d’uomo, così pensiamo che sia irreale, un brutto sogno che passerà (Albert Camus).
Ma i sudditi vogliono un colpevole, lo Stato inventa “il cosa c’è dietro”: il complotto cinese, i big farma, gli untori. Il “non toccarmi” è l’ordine attuale. Gli esperti informano che si deve democratizzare la democrazia. Cioè democratizzare l’impossibile: il capitalismo e il neo-liberismo.
Se si guarda alla condizione del mondo, sorprende l’obbedienza collettiva che si è rivelata in tutta la sua mostruosità, l’Eichmann svelato da Hannah Arendt, il mediocre che obbedisce e non giudica. Chi si sottomette è deresponsabilizzato, anela a sopravvivere.
Il collasso economico, quello ecologico, quello del virus e della guerra russo-ucraina (che quando Di Cesare ha scritto il libro non era scoppiata, anche se erano una decina sparse quelle sparse per la terra) ci fa pensare ovvia la fine del mondo.
La filosofa Donatella Di Cesare è senza dubbio, (maschi compresi) la più impegnata a leggere il sociale aldilà delle convenzioni, dei pregiudizi e delle favole in cui viviamo, conosce la chiacchiera di Heidegger con cui la gente ammazza il tempo prima di morire. Di Cesare affronta i problemi con la razionalità di chi non teme di trovarsi sul precipizio con alle spalle la mano del potere. La incide con una lama che può arrivare al sarcasmo, sfiorare il pamphlet, lanciare il sasso della colpa a chi coltiva il denaro e la poltrona.
I titoli dei suoi libri sono eloquenti: Crimini contro l’ospitalità, Tortura, Heidegger e gli ebrei. I “Quaderni neri”, saggio di cui abbiamo già scritto su G9 (digita “Heidegger” nella finestra dell’home page), Il tempo della rivolta, Terrore e modernità, Stranieri residenti, Se Auschwitz è nulla, Sulla vocazione politica della filosofia. Essi svelano come la filosofia sia necessaria alla sopravvivenza della ragione, come la disobbedienza sia necessaria. Quella disobbedienza che l’ha portata a far conoscere i Quaderni neri di Heidegger, l’odio metafisico del filosofo tedesco verso gli ebrei.
La lettura di Di Cesare mi ha sempre spinto a due riflessioni contraddittorie: quella di Leopardi (1827) nel Dialogo tra Platone Porfirio: Sì bene attendiamoci a tenerci compagnia l’un l’altro; e andiamoci incoraggiando, e dando mano a soccorso scambievolmente; per compiere nel miglior modo questa fatica della vita. La quale senza alcun fallo sarà breve. E quando la morte verrà, allora non ci dorremo. E’ un dialogo sul suicidio, ma che lo allontana.
E quella di Albert Camus (1947), La peste: (il dottor Rieux) sapeva quello che ignorava la folla, e che si può leggere nei libri, ossia che il bacillo della peste non muore né scompare mai, che può restare per decine di anni addormentato nei mobili e nella biancheria, che aspetta pazientemente nelle camere, nelle cantine, nelle valige, nei fazzoletti e nelle cartacce e che forse verrebbe giorno in cui , per sventura e insegnamento agli uomini, la peste avrebbe svegliato i suoi topi per mandarli a morire in una città felice. (di ciò abbiamo già scritto due articoli, digita “peste” sulla finestra home page).
di Mario Baldoli