La casa del confinamento

novembre 23, 2020 in Architettura e urbanistica da Gloria Berardi

Fotone-La casa del confinamento- definitivoLa casa dovrebbe essere lo scrigno del tesoro del vivere” (Le Corbusier).

Questa è la vera natura della casa: il luogo della pace; il rifugio non soltanto da ogni torto, ma anche da ogni paura, dubbio e discordia” (John Ruskin).

In casa generalmente ognuno di noi si sente al sicuro e a proprio agio, perché nel nostro inconscio è il ricordo della nostra prima dimora, il ventre materno.

Inoltre l’architettura concreta degli spazi dell’abitare spesso rivela la nostra “architettura interna”, i nostri personali modi di stabilire confini, ripari e punti di contatto con l’esterno e con gli altri; la casa può rappresentare un’estensione “architettonica” della nostra stessa pelle, un confine psichico, e non soltanto fisico, dove ci scolleghiamo dal fuori, difendendo e rafforzando la nostra identità.

Ma le sfaccettature della nostra identità possono essere modificate dalle metamorfosi esistenziali, che influiscono, con delle trasformazioni, sull’ambiente in cui viviamo. Le limitazioni imposte dal confinamento hanno oggi incrementato il tempo vissuto all’interno delle abitazioni: adibite ad uffici virtuali per il lavoro e la scuola a distanza, esse hanno subito modifiche e stravolgimenti nell’utilizzo degli spazi abitativi. Per queste attività, la necessità di occupare spazi protetti da intrusioni acustiche e visive, anche per gran parte della giornata, può portare ad una riduzione o inibizione della vita familiare quotidiana, talvolta caotica e chiassosa in tempi normali. Nella camera da letto, nella cucina, nel soggiorno, luoghi dedicati alle relazioni e alle comunicazioni confidenziali, si infiltrano suoni e immagini lontani e deformati da macchine, che portano in questi spazi delle comunicazioni e dei linguaggi artificiali, poco spontanei e informali.

D’altra parte negli ultimi decenni la composizione degli spazi nelle abitazioni ha favorito ampliamento degli spazi comuni, eliminando le zone di transizione, connessione e separazione e creando l’open space, costituito da un unico grande ambiente che congloba l’ingresso, la cucina, la sala da pranzo, il salotto e il corridoio . In tempi di pandemia questa impostazione planimetrica ha accentuato momenti di conflittualità, dovuti sopratutto all’impossibile separazione tra pubblico e privato, tra esteriore ed intimo. In questa emergenza siamo stati inoltre costretti a vivere sempre meno all’aperto, in luoghi di socialità e incontro e la casa talvolta può essersi rivelata stretta e oppressiva, in quanto la mancanza di spazi aperti, come balconi, terrazzi o giardini, ha portato a momenti difficili per il nostro equilibrio psicofisico.   Foto_La casa del confinamento- definitivo

Gli spazi di una abitazione necessitano perciò di essere ripensati, non solo nella loro distribuzione interna, ma anche nella quantificazione dell’area vissuta e della nella possibilità di uno sfogo verso l’esterno, affinché l’individuo non avverta una costrizione della sua esistenza.

L’architettura di una casa dovrebbe essere una continua elaborazione delle zone che separano e congiungono il mondo interno e privato con la sfera sociale, permettendo agevoli entrate e uscite da uno spazio all’altro, dal dentro al fuori e viceversa. L’ utilizzo dell’abitazione dovrebbe diventare più eclettico, multitasking, prevedere spazi partecipati, ma non intrusivi, protettivi dell’intimità, ma non esclusivi ed escludenti, discreti e flessibili al bisogno, per garantire la necessità di isolarsi senza dovere rinunciare alla possibilità di comunicare con gli altri in momenti di necessità. Sarà perciò necessario riprogrammare la funzione abitativa in base al fisico e alla psiche, all’individuale e al collettivo, all’interno e all’esterno, al passato e al presente, con l’obiettivo di amalgamare varie esigenze e di ottenere un risultato più consono alla vita dell’uomo.

La distribuzione spaziale dovrà tener conto di più funzioni da soddisfare., come ad esempio lavoro, studio, e-commerce, palestra e area relax, con camere da letto che possano trasformarsi, in certi orari, in uffici o luoghi d’istruzione a distanza; con soggiorni iche possano essere vissuti come palestre e cucine come punti d’incontro virtuale e luoghi di approvvigionamento a distanza.

Una casa aperta, flessibile e modulabile, per ingrandire o ridurre uno spazio con l’utilizzo di tecnologie leggere, a secco, facilmente montabili e smontabili, con inseriti arredi componibili per consentire di destinare lo spazio a usi completamente differenziati, anche in uno stesso ambiente.

L’abitazione poi, a maggior ragione, non dovrà più essere “spazio dormitorio”, ma far parte di un contesto più ampio dove, nel raggio di 500 metri, si possa accedere a tutto ciò che serve per la vita quotidiana: scuole, negozi, servizi e spazi pubblici, ristorazione, verde urbano. Questo può essere un quartiere cittadino, un paese o un borgo all’interno del quale non sarebbe più necessario utilizzare auto o altri mezzi a, perché gli spostamenti lunghi verso luoghi di aggregazione e di lavoro sarebbero molto meno necessari. Ne beneficerebbero la qualità della vita e quella dell’ambiente con l’abbassamento dei livelli d’inquinamento e con spazi liberati dalla servitù dell’auto, trasformati e rinverditi.

[Sul tema si veda:

Agnese Ferrara, Abitare, c’è un prima e dopo Covid-19. Le soluzioni dei designer Marco Ermentini Ripensare le città al tempo del covid: recuperiamo l’urbanità

Gli italiani in casa ai tempi del coronavirus. Il videodiario (Corriere della Sera)

Per IKEA la casa del futuro è multitasking (BZCasa Magazine)

Irene Guzman, Architettura liquida ]

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