Lo scacco della ragione

febbraio 3, 2015 in Recensioni da Mario Baldoli

La ballata di Adam HenryIan McEwan nel suo ultimo romanzo arrivato in Italia, La ballata di Adam Henry (titolo originale The Children Act, trad. Susanna Basso, ed. Einaudi) riprende in forma nuova e con una conclusione inattesa i problemi su cui maggiormente si è soffermato nella sua intera opera: il difficile (rovinoso) rapporto di coppia e lo scontro fra fede e scienza. Temi che l’hanno toccato profondamente e personalmente, su cui ha scritto varie volte, anche  separatamente. Come il duro  e contrastato divorzio dalla prima moglie col complicato affidamento dei figli.

In quest’ultimo libro, tuttavia la storia va oltre: il finale rende incandescente e contraddittoria la ferrea logica del racconto, di quel professore e quella giudice, due sposi  ormai distanti tra loro, della decisione di lei su un testimone di Geova che rifiuta le trasfusioni, del processo descritto – come al solito – minuziosamente.

Nello scontro tra fede e scienza, McEwan si schiera sempre dalla parte di quest’ultima, ma nella Ballata di Adam Henry la ragione ha il suo scacco imprevisto: un problema faticosamente concluso, in apparenza con soddisfazione generale, va a cozzare contro un limite umano che si risolve in tragedia. Una tragedia che il contesto sociale ha scientemente preparato.

Come in altri romanzi, forse basterebbe l’amore per andare oltre, a volte basta il sesso. Ma in McEwan l’amore non è l’ipocrisia con cui i coniugi restano uniti tenendo celati gli scheletri nei rispettivi armadi, trovando fughe nella mediazione, nelle promesse, nella pigrizia, nella precarietà, nel “tirare avanti”.

Per lui l’amore è come quello che si rivela, ad esempio, in tanti film di Bergman o nel terzo atto di Ibsen, quando marito e moglie si siedono e si dicono veramente tutto. Gli scheletri escono, la libertà delle scelte esplode: Nora lascia casa, figli e sicurezze, Ellida resta ma dopo che tutto è stato detto fino in fondo. Ogni persona svela la sua doppia anima.

Chi ama McEwan ritrova il suo ritmo preciso e sempre uguale (“noioso” dicono superficialmente certi critici), un ritmo invece teso e coeso, che evita improbabili, facili e volgari colpi di scena, un ritmo che scandisce la vita e il peso delle responsabilità con parole cariche di quel significato lungo (l’onda lunga che in mare anticipa la burrasca) che lacera la normalità.

Uno scrittore che definirei minimalista per il suo parlare sempre sottovoce in storie che non sono mai semplici, dove la minuzia di scavo è ostinata, i caratteri sono orgogliosi, i protagonisti forti. Protagonisti posti tutti sullo stesso piano, senza sopraffazioni, senza che l’autore scelga un preferito, sapendo che di solito le scelte, oltre ad essere d’altri tempi, sono solo l’immaginario di chi scrive.

Ian McEwan

Un romanzo che arricchisce la nostra vita interiore.

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