I bambini di Gaza non sanno più disegnare
aprile 24, 2025 in Arte e mostre, Palestina da Laura Giuffredi
La bandiera palestinese, in alto, ha un angolo bruciacchiato: una palla di fuoco l’ha colpita.
La casa col giardino è solo un ricordo in un fumetto; la realtà è una tenda triangolare senza fisionomia. E Aisha si è raffigurata in lacrime, in un angolo; il suo messaggio è chiarissimo: “Mi manca così tanto la mia casa e vorrei tornarci un giorno”. La grafia araba è elegante e si mescola con una dichiarazione in inglese, “I love”: se per caso qualcuno non avesse capito…
Colori e segni sono però elementari, non propri di una bambina di 10 anni: ma il terrore e il trauma dei bombardamenti quotidiani, della distruzione, dell’essere sfollati senza prospettive, fanno regredire, rendono incapaci di esprimersi a un livello evoluto, consono all’età. Ce lo spiega il neuropsichiatra infantile Mohammed El Katteeb, palestinese sessantenne da anni in Italia, che fu profugo a sua volta e che potè studiare grazie a UNRWA, l’ “Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel vicino Oriente” (cui dallo scorso marzo è stato imposto da Israele il divieto di fornire aiuti a Gaza). Questo per ricordarci che la “questione palestinese” va avanti da molti decenni.
Quindi, non è una “bella mostra” quella che si è inaugurata oggi (“Le voci dei bambini di Gaza”, in via Battaglie 16 a Brescia, aperta questo e il prossimo fine settimana): è angosciante e rivelatrice di un dolore assurdo e feroce, non mitigato dalla giovane età degli “artisti”, né dalla loro incredibile capacità di sperare.

Mira – La nostra vita trasformata in una tenda
I disegni alle pareti hanno contorni colorati, ma le bombe sono per lo più grigie, ben riconoscibili contro cieli dove le nuvole si ostinano a viaggiare, azzurre, al di sopra dell’inferno.
Nel filmato che si proietta nella sala accanto, possiamo vedere gli stessi bambini che, grazie al progetto “Iniziativa educativa Bambini di Gaza”,coordinato da Giuditta Brattini, frequentano la “scuola d’emergenza” messa in piedi da volontari, durante la breve tregua dei mesi scorsi: sorridono, ma il sorriso serve a convincersi reciprocamente che la guerra finirà e si tornerà a casa, ad esorcizzare la paura e il dolore costanti.
Dolore, terrore, ma anche resiliente tenacia, che resiste nei loro occhi e in quelli delle loro madri, che tanto spesso vediamo in TV, ma alle quali ci siamo forse già abituati, con una sorta di cinico distacco, privo della giusta indignazione che sarebbe necessaria.
Madri che la poeta Ni’ma Hassam celebra così
Una madre a Gaza non dorme…
Ascolta il buio, ne controlla i margini,
filtra i suoni uno ad uno
per scegliere una storia che le si addica,
per cullare i suoi bambini
E dopo che tutti si sono addormentati,
si erge come uno scudo di fronte alla morte
Una madre a Gaza non piange
Raccoglie la paura, la rabbia e le preghiere nei suoi polmoni,
e attende che finisca il rombo degli aerei,
per liberare il respiro
Una madre a Gaza non è come tutte le madri
Fa il pane con il sale fresco dei suoi occhi…
e nutre la patria con i suoi figli.
di Laura Giuffredi