Il Vangelo secondo Alda Merini

maggio 9, 2021 in Approfondimenti, Recensioni da Pino Mongiello

Copertina_il-vangelo-secondo-alda-merini-2118Probabilmente il Gesù che vediamo rappresentato celebrato nelle basiliche ridondanti di mosaici, marmi e capolavori d’arte, risultava freddo alla poetessa Alda Merini. Certamente, però, di Gesù ha subito il fascino anche se nei suoi versi lo si incontra terribilmente umano, totalmente altro rispetto a qualsiasi cliché, con una sua propria forza comunicativa, capace di immedesimarsi nell’ultimo dei dannati. E lei si sentiva tra questi: umiliata, marginalizzata, straziata nel corpo e nella mente, considerata pazza, segregata, ultima.

È nello scoprirsi ultima che Alda Merini ha trovato la sintonia con quelli che Gesù amava, anzi con Gesù stesso, che i suoi parenti avrebbero voluto allontanare dal paese e dal contesto sociale dicendo “L’è matt!”, è fuori di sé.

La sofferenza estrema patita sul proprio corpo, che arrivava a minare la sua dignità di persona e di donna, ha tanta somiglianza con quella del Cristo. Per questo la poesia della Merini è un naturale e necessario rivolgersi a lui con tanta confidenza. La poetessa si identifica senza fatica nella figura della Maddalena, vittima di un sistema patriarcale. Gesù – dice il Vangelo di Giovanni –annunciò a lei, prima che ad altri, la propria resurrezione: una vera provocazione.

Alda Merini ha scritto il suo vangelo dentro la sua poesia, senza discostarsi dal senso profondo delle Scritture. Lo dice Marco Campedelli, prete, comunicatore, che della poetessa dei Navigli ha raccolto, da amico, confidenze, lamenti e sogni. Il libro pubblicato da Claudiana,Torino 2019, per la collana “Nostro tempo” è un distillato prezioso della sua parola religiosa e poetica: una parola che prende e coinvolge anche chi si dice non credente perché tutti vi si possono riconoscere. Il Gesù della Merini, infatti, non è una figura stereotipata, non è un santino da devozione: è un Gesù di carne, fisico, che provoca e trasmette sentimenti ed emozioni, e sa parlare rivolto al cielo mostrando le proprie fragilità ma anche la propria determinata coerenza.

Dice Campedelli: “Alda Merini non ha solo fatto poesia ma ha sviluppato poesia: è entrata nel rischio della vita poetica”. E cita, da Testamento, questi versi:

I poeti lavorano di notte/ quando il tempo non urge su di loro/ quando tace il rumore della folla/ e termina il linciaggio delle ore./ I poeti lavorano nel buio/ come falchi notturni od usignoli/ dal dolcissimo canto/ e temono di offendere iddio/ ma i poeti nel loro silenzio/ fanno ben più rumore/ di una dorata cupola di stelle”.

Alda Merini

Alda Merini

I poeti, scrive la Merini “non si redimono, vanno lasciati volare tra gli alberi, come usignoli, pronti a morire”. In questo – commenta Campedelli: “I poeti sono come i profeti…”                                   Non si può non ricordare come, spesso, quella donna abbia dato corpo al suo poetare: talora al telefono, nelle ore più insolite. Chiamava l’amico, anche di notte, e gli dettava, come fosse in stato di trance, i versi che prorompevano dal cuore. Talvolta li scriveva sopra un pezzo di giornale strappato, in mancanza di una pagina di quaderno. Quando la parola urgeva, non poteva attendere. “La poesia l’ha imparata dentro le ferite come nelle mille resurrezioni della vita” (Campedelli).

La parola poetica di Alda Merini sa essere leggera come una farfalla e, al tempo stesso, incidere nel profondo. Lei stessa non poteva farne a meno. È nella prima pagina del bel libro di Campedelli il racconto di ciò che, appena finita la guerra, la quattordicenne Merini fece a Milano. Entrò in una libreria ma non aveva soldi. Vide le Elegie duinesi di Rilke, si guardò attorno con circospezione e, di nascosto, se le intascò senza dir nulla. Sentì “per la poesia – dice Campedelli – la stessa fame del pane. Adolescente, ladra di poesia”. Ma quanta poesia, a sua volta, ha donato generosamente a tutti nella sua vita: di fatto, donando se stessa.

 

di Pino Mongiello

 

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