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Bartleby, unchained

marzo 26, 2013 in Approfondimenti da admin

Le ultime notizie pervenuteci su Bartleby, lo scrivano, lo danno morto solitario in carcere nel 1853. Da allora non si fa che parlare di lui e molti hanno voluto cercare di capire le sue ragioni. Da qualche anno però, lo spettro di Bartleby si aggira per Bologna. In effetti chiamarlo spettro non è propriamente corretto, perché più volte si è manifestato materialmente nelle strade e nelle aule universitarie; addirittura per parecchi mesi ha avuto anche un domicilio. Allora qualcuno ha cominciato a dire che Bartleby è ancora vivo, perché è vivo chi ha ancora qualcosa da dire. Forse il punto non è cosa il Bartleby di Melville volesse dire all’epoca (rifiutando il lavoro fino alla morte, pur di fronte alla resa del suo capo), ma che cosa possiamo fargli dire oggi.

E’ possibile definirlo un personaggio dell’esodo: non si scontra, non confligge con il Faraone (oggi diremmo il barone) ma sceglie di andarsene, perché non ha niente da chiedere e perché non ha alcun interesse a riconoscere il suo discorso e a minarne l’autorità; sarebbe l’autorità su un discorso altrui, al quale non appartiene più. Fare un paragone contemporaneo con l’episodio dell’esodo, però, non garantisce l’assenza di una violenza subìta, perché il Faraone, come è noto, fa inseguire il popolo ebraico dall’esercito. In più, il viaggio non ha come meta la terra promessa, un luogo salvifico esterno nel quale poter avere un nuovo principio. La meta di un paragone del genere è più simile alla riserva indiana, ossia un luogo di riparo imposto dal nemico esterno: la riserva indiana è confinata e accerchiata. In un luogo di questo tipo, in cui è più facile entrare che uscirne, è più probabile che sia il discorso del Faraone (del potere) a condizionare di nuovo la vita di chi lo abita (non a caso gli indiani aprono i Casinò), perché un confine ben definito può essere riconosciuto come l’antagonismo necessario all’esistenza dell’autorità del Faraone stesso. Sarebbe dunque il linguaggio del potere a contaminare lo scrivano, mentre sappiamo bene che non è così. Nell’esodo contemporaneo infatti non c’è un altro posto dove andare, non c’è un “fuori” salvifico, che sia la Terra Promessa o la riserva indiana. Come Django, nero e senza catene, Bartleby decide di restare, pronto a parlare con la propria voce. I pensieri di Django non sono nemmeno sfiorati da un salvifico ritorno in Africa, perché la moglie che vorrebbe liberare è nello stesso mondo schiavista in cui si trova lui, e dunque è lì che deve giocare la propria partita.

bartleby capodilucca

C’è una canzone dei Rancid, un gruppo punk famoso negli anni 90, che dice:
Some men are in prison even though they walk the streets at night
Other men who got the lockdown are free as a bird in flight
How about the hour in the system that ended
In a one-way line our measures could not stand in.”

I primi due versi dipingono un personaggio contraddittorio ed esistenzialista, come Bartleby o Django: due solitari che “preferiscono di no”. Ma la morte di Bartleby e la liberazione (come singoli) di Django e sua moglie, non hanno la funzione di atti di rivolta individuali, bensì di atti narrativi che possono diventare di uso collettivo se riempiti di senso. Con Deleuze, Bartleby (così anche Django), con il suo solo “preferirei di no”, costringe chi lo circonda, come l’avvocato di Wall Street, a rimodulare il proprio linguaggio (il proprio discorso) in base al suo. Ma il “preferirei di no” sfugge continuamente alla cattura del discorso del potere, e infatti l’avvocato avverte uno spaesamento, quasi che il suobartleby faccione vocabolario non sia in grado di comprendere, di spiegare, di misurare la portata delle parole dello scrivano. Ed ecco che gli altri due versi ci dicono: che cosa ne facciamo dell’unità di misura (l’ora) di un sistema che non sta in piedi? In una linea unidirezionale siamo semplicemente “immisurabili”. Non è questione di trovare un’altra misura: è proprio il concetto di misura a non potersi sovrapporre al rifiuto di Bartleby, lo scrivano. Per tornare sulla terra, un esempio è il sistema dei crediti universitari, cioè il tentativo di misurare la produzione del sapere. Ma è possibile misurare qualcosa la cui produzione è comune e in continuo divenire? Questo è un esempio dell’impossibilità di ricondurre Bartleby, il moderno Bartleby, all’interno del discorso egemone: il “preferirei di no” sfugge continuamente alla cattura. Ogni tanto accade che chi circonda questo “demente” (come l’ha definito un giornalista un po’ superficiale) si rifiuti aprioristicamente di provare a comprenderlo, e allora regolari arrivano gli sgomberi, le manganellate, i sigilli. I mattoni che le forze dell’ordine hanno utilizzato per murare l’ingresso dell’ultimo domicilio di Bartleby (uno spazio autogestito in cui si sono tenuti seminari, incontri, assemblee, presentazioni di libri, colloqui con attori, performance di artisti, concerti), in via San Petronio Vecchio 30 a Bologna, sembrano proprio una surreale citazione della Wall Street (la via del muro) dello scrivano di Melville. Ma la prerogativa di Bartleby di essere sfuggente, contagioso, multiforme, aperto alla contaminazione non può essere chiusa in quattro mura, che siano lo studio di un avvocato a Wall Street o un centro sociale. Perché Bartleby è, come Django, unchained.

bartleby corteoBartleby, la città dei saperi, gli spazi del dissenso

bartleby muroTra Gennaio e Febbraio 2013 Bartleby, collettivo e spazio sociale bolognese, ha avuto la ribalta su tutti i media a partire dallo sgombero che ha subito attraverso l’uso della polizia da parte dell’Università di Bologna. Bartleby, il cui nome è dovuto al protagonista del romanzo di Melville che “preferisce di no” e del quale il collettivo vorrebbe riscrivere il finale, è nato all’interno della grande mobilitazione studentesca contro la Riforma Gelmini dell’università nel 2008 (“tra le pieghe dell’Onda”, si diceva allora).

Da quel momento ha prodotto corsi di autoformazione (cui la stessa Università riconosce valore e crediti), seminari tematici con docenti di altre università (anche estere), incontri con scrittori (da Erri de Luca a Carlo Lucarelli), attori, artisti e fumettisti, concerti, una biblioteca autogestita contenente il Fondo Roversi (appartenuto al poeta bolognese recentemente scomparso) oltre ad assemblee pubbliche, luogo di organizzazione di movimenti contro la crisi e l’austerity, la dequalificazione dell’università, la precarietà come condizione disagiata di vita.

Per realizzare tali progetti il collettivo occupò nella primavera del 2009 uno stabile dell’università inutilizzato da più di dieci anni, e dopo due sgomberi raggiunse un accordo con l’allora nuovo Rettore Ivano Dionigi per l’assegnazione di uno spazio, durata fino allo scorso Gennaio, nonostante la convenzione fosse scaduta nel Settembre 2011. Da quel momento, infatti, il dialogo con l’Università si è interrotto: il rettore ha dichiarato che non esistevano altri spazi disponibili e che nella sede attuale dovevano essere fatti non meglio precisati lavori. Ci ha pensato così il Comune, nella persona dell’Assessore alla Cultura Alberto Ronchi, a proporre un nuovo spazio al collettivo: un seminterrato in centro che Bartleby ha accettato nell’estate del 2012. Ma subito dopo, anche a causa di polemiche più ampie sulla cultura in città (con il ritorno del protagonismo sui giornali dei “comitati anti-degrado” di cofferatiana memoria), il PD bolognese costringe l’assessore alla marcia indietro e ricominciano così le minacce di sgombero da parte dell’Università.

Pochi giorni prima di Natale, sotto la pressione dei vertici dell’Ateneo (che a Bologna rappresenta la risorsa e l’indotto principale, se non l’istituzione più potente), il Comune, questa volta nella persona dell’Assessore ai Servizi Sociali Amelia Frascaroli, si rimette in contatto con Bartleby, invitando il collettivo a visionare una nuova proposta “prendere o lasciare” il 10 Gennaio, con tre giorni di tempo per lasciare i locali occupati dell’Università. Il nuovo spazio è un capannone industriale a più di 5 kilometri dal centro città e dall’Università, circondato da altri capannoni e campi, senza collegamenti idonei, oltre la Tangenziale, e difficilmente raggiungibile senza pericolo con mezzi propri, completamente inadatto alle attività che Bartleby ha svolto in 4 anni. Una proposta che sembra fatta apposta per ottenere un rifiuto e legittimare lo sgombero, che infatti avviene pochi giorni dopo, il 23 Gennaio.

Da quel giorno la città (e non solo) si spacca, di fronte alla grande solidarietà ottenuta da Bartleby: un corteo invade immediatamente il Rettorato senza trovare il rettore Dionigi, bartleby book blocviene caricato dalla polizia quando cerca di avvicinarsi alla sede appena sgomberata (il cui ingresso è stato immediatamente murato dalla polizia, con all’interno tutto il materiale del collettivo, comprese le riviste storiche del Fondo Roversi), infine occupa la Facoltà di Lettere e Filosofia per un’assemblea pubblica partecipata da centinaia di persone che rilancia la mobilitazione. Nel frattempo, sui giornali, SEL (per quanto riguarda la politica) e i Docenti Preoccupati (per quanto riguarda l’Università) prendono le difese di Bartleby, che il giorno successivo occupa un’aula della Facoltà di Lettere in via Zamboni 38. Sabato 26 Gennaio un corteo di mille persone (compresi SEL e i docenti, oltre agli studenti e a tutte quelle figure che hanno attraversato Bartleby) occupa l’ex convento di Santa Marta in pieno centro: un grande complesso inutilizzato da 7 anni, con un progetto finanziato dal Comune per la ristrutturazione che non è mai partito. Tre giorni dopo arriva un nuovo sgombero.

bartleby assembleaQuesta breve ma intensa storia ha sollevato (e riaperto) a Bologna vari temi: il rapporto centro/periferia; la questione della produzione culturale; i saperi critici all’interno dell’università in crisi; l’utilizzo (o il riuso) dei luoghi pubblici abbandonati; la pratica del conflitto come legittimazione. Su questi temi (alcuni dei quali, non a caso, affrontati anche a livello nazionale riferendosi a Bartleby) si è dibattuto per giorni sui giornali mainstream, spesso strumentalmente, vista la vicinanza delle elezioni.

  1. In primo luogo Bartleby è stato accusato di essere un collettivo di “fighetti” o di “birraioli” (cito) che non hanno il coraggio di assumersi la responsabilità di riqualificare la desolata periferia bolognese; come se una sola realtà autorganizzata confinata in mezzo ai capannoni potesse cambiare la vivibilità di una zona industriale, senza un piano chiaro delle istituzioni, senza trasporti adeguati, slegando tra l’altro Bartleby dalla composizione sociale che gli ha permesso di esistere. Del resto Amelia Frascaroli ha spesso fatto riferimento alle grandi città europee, come se Bologna fosse Berlino, e non una città il cui centro è composto per un quarto dall’Università e la cui popolazione è composta per un sesto da studenti, molti dei quali fuori sede.
  2. A Bartleby, fino a qualche settimana fa, è stato sempre riconosciuto anche dalle istituzioni il valore della produzione culturale; un riconoscimento, però, volto a svuotare quelle iniziative del contenuto politico spesso conflittuale proprio verso le istituzioni cittadine e d’altro lato verso i vertici dell’università (è il caso del movimento contro la riforma Gelmini, i tagli alle borse di studio, l’aumento delle tasse, i tirocini non pagati ecc.). Nell’ultimo mese la guerra contro Bartleby è stata totale, e il Fondo Roversi può essere definito sui giornali cosa di poco conto, le iniziative paragonate a quelle di un’osteria, l’autofinanziamento letto solo come una pratica d’illegalità nella vendita di bevande. Ma la ricchezza della città di Bologna (o vorremmo dire il motivo per cui gli studenti ci vanno a vivere) non è affatto l’Università d’eccellenza (che la qualità stia solo nel bilancio è prerogativa del governo Monti), bensì tutto ciò che vi ruota attorno, le esperienze che permettono agli studenti di formarsi meglio e oltre l’accademia, un circuito culturale metropolitano cui spesso viene fatta la guerra perché indipendente o non corrispondente alle logiche dell’impresa: non a caso Bartleby è stato sgomberato ma anche altri spazi sociali, come Atlantide e XM24, sono continuamente sotto attacco. L’Università, dal canto suo, ha preferito spendere 50.000 euro di affitto l’anno per un capannone vuoto, senza sapere a quali progetti avrebbe potuto essere utile, solo per garantirsi il “rifiuto degli antagonisti” e legittimare uno sgombero.

  3. Anche all’interno dell’Università, l’organizzazione di corsi di autoformazione presuppone l’utilizzo di saperi critici in maniera conflittuale (oltre a mettere in discussione la verticalità delle lezioni accademiche), perché sono saperi di parte, perché guarda caso sono argomenti solo sfiorati nei corsi ufficiali che comunque risentono di un’impostazione rigida e di un’interpretazione che spesso lascia a desiderare: anche questo dà fastidio a chi ha la certezza di poter insegnare per anni le stesse cose.

  4. Nel bel mezzo della crisi, che non accenna a essere superata, gli spazi abbandonati di proprietà delle amministrazioni locali o addirittura del demanio sono un argomento che dà particolarmente fastidio a chi governa, tendenzialmente impegnato a tenere questo patrimonio pubblico inutilizzato in attesa di tempi migliori, o, se va peggio, a svendere tale patrimonio a speculatori edilizi per raccogliere le ultime briciole. Almeno nel primo caso (allo Stato come garante dei beni comuni ormai ci credono in pochi, vista la non applicazione di fatto del referendum sull’acqua), una giunta “di sinistra” dovrebbe quantomeno riaprire la questione del riuso e dell’autogestione di tali spazi da parte dei cittadini: e questo sarebbe il minimo, perché poi ci sarebbero quelle realtà già autorganizzate da anni sempre in attesa di una legittimazione che non è mai arrivata.

  5. La dicotomia legittimità/legalità ha riportato Bologna all’era Cofferati, che possiamo riassumere in: “qui siete solo ospiti, andatevene il prima possibile senza sporcare”. La svolta legalitaria del PD non ha aiutato il dialogo con i movimenti, che si sono sempre posti in maniera ambigua ma comunque disponibile: come abbiamo detto Bartleby, ad esempio, è nato da un’occupazione, ma è stata la stessa Università a proporre poi un’assegnazione regolare al collettivo, a dimostrare che il conflitto può essere fonte di legalità. D’altro canto la forma (legalità) non può nemmeno essere la chiave di lettura di qualsiasi esperienza partecipata e commentata positivamente da migliaia di persone (legittimità), poiché la “repressione” di quell’esperienza, che potremmo dire essere l’uso della forza da parte della forma sulla sostanza, non ne placa il bisogno, il desiderio, la necessità.

FOTO: Bartleby lo scrivano; La prima sede di Bartleby nel 2009 in via Capo Di Lucca (Antonio Delvecchio); Un incontro casuale con Bartleby (Antonio Delvecchio); Il corteo del 26 gennaio che terminò con l’occupazione dell’ex convento di Santa Marta (Michele Lapini); L’ingresso murato di Bartleby in via San Petronio Vecchio il 23 gennaio; Un’immagine dell’aula Roveri occupata nella Facoltà di Lettere (Diana Sprega); Assemblea per Bartleby nell’aula III della Facoltà di Lettere (Ludovica Guzzi)

http://bartleby.info

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L’orizzonte in fuga. Viaggi e vicende di Agostino Codazzi da Lugo.

marzo 24, 2013 in Approfondimenti da Roberta Basche

Il libro L’orizzonte in fuga, di Giorgio Antei (Leo S. Olschki editore) narra le vicende di Agostino Codazzi, cittadino lughese molto più noto in America latina, in particolare in

Colombia e Venezuela dove trascorse la maggior parte della sua vita, che in Italia, patria di nascita.

C. Fernandez, Ritratto di Agostino Codazzi, 1832

C. Fernandez, Ritratto di Agostino Codazzi, 1832

Agostino Codazzi nacque a Lugo, Legazione di Ferrara, il 12 luglio 1793.

A quei tempi Lugo era una piccola cittadina con una consistente comunità ebraica dedita principalmente all’agricoltura e al commercio della seta. Anche il nonno di Agostino commerciava in seta ma in seguito al sacco di Lugo ad opera delle truppe napoleoniche, la famiglia Codazzi perse l’azienda di famiglia.

Vuoi per il tracollo economico che subì la famiglia vuoi per la curiosità di Agostino di conoscere nuova gente e nuovi paesi, il giovane lughese si arruolò appena diciassettenne nell’esercito del Regno italico e fu ammesso alla scuola teorico pratica di artiglieria di Pavia. Grazie alle nozioni di calcolo, disegno, sistemi di misurazione di rilievi e superficie ricevuti durante tale percorso formativo Agostino Codazzi sviluppò l’attività di geografo e cartografo in America latina.

Il libro di Giorgio Antei si compone di una decina di capitoli (più un undicesimo, la biografia del viaggiatore) che raccontano la vita militare di Codazzi in Europa e la sua attività come esploratore in Nuova Granada e in Venezuela accompagnando il lettore in altri tempi e in altri mondi, trasformandolo da donna o uomo del XXI secolo (comodamente seduto in poltrona) a compagno di viaggio di Agostino, immerso nelle foreste pluviali dell’America latina.

Compagno di peregrinazioni di Codazzi fu Costante Ferrari, suo concittadino. Ma mentre l’amico Ferrari credeva nella vita militare, per Agostino Codazzi l’arruolamento nell’esercito fu un mezzo per guadagnarsi da vivere, per poter viaggiare e soddisfare la propria curiosità.

Come artigliere dell’esercito del Regno italico Agostino Codazzi combatté per Bonaparte nel corso della campagna di Germania; successivamente si arruolò nelle truppe italo britanniche ma in seguito alle delusioni ricevute da queste esperienze si imbarcò per l’America latina.

Rimase tutta la vita in America latina (con una breve parentesi durante la quale rientrò in Italia), costruì una famiglia e la propria carriera di geografo e cartografo disegnando i territori del Venezuela e della Colombia.

Il suo interesse per la geografia non fu mai unicamente descrittivo ma si intrecciò con l’interesse per gli uomini; Codazzi, accanto alle misurazioni, si prodigò per favorire lo sviluppo demografico e agricolo delle popolazioni di quei territori.

Per tutta la vita le sue imprese e i suoi sforzi mirarono al progetto di una società libera, egualitaria e felice.

Durante un’ultima spedizione nelle aree paludose colombiane fu colpito da un’infezione malarica e il 7 febbraio 1859 la Colombia “aveva perduto il suo misuratore”.

america libre

Post scriptum: sfogliare e risfogliare le pagine per godere di un affascinante viaggio attraverso le immagini.

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La guerra di Troika

marzo 16, 2013 in Crisi da Sonia Trovato

sonia mitraliasUna nazione piombata in un drammatico “stato di bisogno” e schiacciata dal “rullo compressore” delle misure d’austerità volute dalla Troika. È questa la Grecia secondo Sonia Mitralias, femminista e fondatrice della Marcia Mondiale delle Donne, in “tour” in Italia per portare la testimonianza delle disumane condizioni dei suoi connazionali. Approdata a Brescia lo scorso fine settimana su invito della rete “Donne nella crisi”, l’attivista, affiancata da un’interprete, ha snocciolato dati che lasciano di stucco anche i più informati.

L’idea di Sonia è che la culla della civiltà occidentale sia diventata oggi un mostruoso laboratorio dove mettere in atto un illegittimo smantellamento del welfare state. L’eurogruppo ha scelto la Grecia perché era più debole, poco industrializzata e perché aveva un governo corrotto (e corruttibile). Il risultato, dopo più di tre anni del trattamento lacrime e sangue in salsa ellenica, è un popolo che non riconosce più se stesso e il proprio Paese. Tre milioni di greci hanno perso la copertura sanitaria e a risentirne sono soprattutto le donne, costrette a pagare per partorire (il listino prezzi va dagli 800 ai 1600 euro). Pesanti tagli all’assistenza dei disabili hanno portato alla riapertura di istituti lager senza energia elettrica e senza personale qualificato. La famiglia nucleare sta cedendo il passo a convivenze forzate tra più generazioni, con il risultato che in quindici affollano appartamenti pensati per quattro o cinque persone massimo. A farne le spese sono ancora una volta le donne, contro le quali sono drammaticamente aumentate le violenze domestiche, fomentate da una coabitazione coatta e innaturale e da una disoccupazione record (quasi al 30%, 68% quella giovanile) che costringe intere famiglie, un tempo operose, a bivaccare in casa. A completare l’agghiacciante quadro è un rapporto dell’Unicef, secondo il quale più di 400 mila bambini risultano denutriti. Non si salvano nemmeno i monumenti nazionali, affittati a rampolli milionari per feste private.

donne-nella-crisi

I movimenti di protesta ci sono – spiega Sonia – ma sono troppo frammentati e non riescono a coordinarsi tra loro. Alba Dorata approfitta del clima d’incertezza e della spaccatura tra le sinistre per macinare consensi. Gli ultimi sondaggi la danno al 12%. Questo perché il partito neonazista che qualche settimana fa ha rilasciato dichiarazioni shock sugli immigrati in Grecia, definendoli “primitivi, subumani e contaminati”, appare ormai a molti, troppi, come un’alternativa all’austerity. Alba Dorata distribuisce cibo e vestiti alle famiglie bisognose e i suoi attivisti fanno a gara per donare il sangue. Ma la solidarietà è rivolta solamente ai greci purosangue. E il governo si presta, dando disposizione al personale medico di chiedere la carta d’identità all’ingresso degli ospedali. Avevano addirittura proposto un questionario per gli asili, al fine di verificare quanti figli d’immigrati occupassero posti che a loro dire spettavano alla popolazione ellenica. Questo provvedimento è stato bloccato in extremis perché le maestre si sono rifiutate di prestarsi a questa barbarie.

Quando alcuni attivisti e volontari hanno provato ad istituire dei dispensari gratuiti di medicine, i distributori di farmaci, vedendo minacciati i propri profitti, hanno chiesto aiuto ad Alba Dorata, che è riuscita a infiltrarsi e in parte a sostituirsi alle forze dell’ordine. Se anche qualcuno pensasse di mettere in atto un colpo di Stato militare come al tempo della dittatura dei colonnelli, troverebbe un esercito insufficiente e ridotto all’osso. D’altro canto continua Sonia la Troika non ha bisogno delle armi, dato che la sua longa manus, ossia l’esecutivo interno, governa a colpi di decreti legge bypassando il Parlamento. E ogni decreto è un piccolo colpo di Stato.

Nonostante l’insufficienza e la stanchezza delle forze armate, quando vuole usare il pugno di ferro il governo greco riesce a schierare sei plotoni di polizia in tenuta antisommossa in un villaggio di 3000 abitanti. È successo una decina di giorni fa a Lerissos, cittadina mineraria svenduta alla compagnia aurifera Hellas Gold perché ne faccia uno dei maggiori produttori d’oro, in barba alla salute dei cittadini e alla tutela dell’ambiente. Alle pacifiche proteste degli abitanti le forze dell’ordine hanno risposto sparando gas lacrimogeni contro la folla e nelle scuole, dove si stavano tenendo regolari lezioni. Dopodiché i poliziotti sono andati casa per casa (Mitralias lo dice in italiano, per rendere meglio l’idea) a perquisire gli inermi cittadini, con minacce, intimidazioni e violenze.

I greci hanno sopportato tutto questo perché la strategia dello shock li ha convinti dell’imprescindibilità delle misure d’austerity: o vi affidate a noi, o vi lasciamo fallire da soli. Ma un Paese aiutato con tranches di soldi che non arrivano nemmeno in Grecia e che approdano direttamente in Lussemburgo e strozzato dal circolo vizioso del debito come potrà riprendersi? La Troika sembra mossa da una filosofia nichilista, sembra voler annientare un popolo e una cultura e non si ferma nemmeno di fronte all’ultimo dato relativo al tasso di natalità, che registra una contrazione del 20% da quando è iniziata questa terribile recessione. Per questo, il futuro sarà o non sarà. Affermazione inquietante che chiama a rapporto la solidarietà internazionale e che ci invita a fare inversione di marcia rispetto alle disastrose ricette dei “tecnici” nostrani, se non vogliamo essere i prossimi.

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Un milione di scale

marzo 12, 2013 in Racconti e poesie da Beatrice Orini

Ha occhi grandi e perduti, Adele. Siede su una poltrona a fiori chiari, lo sguardo fisso sulla tivù che inonda la stanza di voci. Non le ascolta né segue le immagini, la sua testa è altrove. Ma dove? si domanda Tullio, interrompendo il cruciverba e guardandola mesto. Dove scappano i suoi pensieri? Che cosa è successo, dov’è finita mia moglie?
Sono le stesse domande da mesi. Certo, conosce le risposte, quante volte i figli gliel’hanno spiegato, eppure non si dà pace. Ancora si stupisce e si tormenta.

– Adele! Adele, mi senti?
Non si volta neppure. Lui allora con fatica si alza, appoggiandosi al bastone si avvicina alla poltrona e al suo profumo di gelsomino. Un profumo che da più di cinquant’anni per lui vuol dire Adele. Ripete forte:
– Cara, mi senti?
Finalmente lei si accorge della sua presenza, lo osserva interrogativa con quel suo volto che è tutto un crepuscolo e poi esclama:
– Chi sei?
Non è possibile, davvero mia moglie non mi riconosce più, pensa Tullio. È così triste. Leggi il resto di questa voce →

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Barbablù
, l’atteso nuovo romanzo di Amélie Nothomb

marzo 10, 2013 in Recensioni da Piera Maculotti

BarbabluIl racconto vola come un fulmine nel cielo sereno di una scrittura veloce, pulita, perfetta. Piena di colori, com’è evidente fin dal titolo – Barbablù – che campeggia tra il nero e il giallo della bella copertina: è il nuovo romanzo di Amélie Nothomb, tradotto da Monica Capuani, fresco di stampa (Voland, collana Amazzoni pp.112 € 14).

Paris, VII arrondissement, un antico palazzo sontuoso. Lei è una ragazza belga in cerca d’alloggio. Lui è uno strano aristocratico spagnolo, estremo misantropo in esilio in Francia (e in esilio dal mondo…); scapolo ambitissimo, il più nobile della terra (discende dai Cartaginesi – dice – e da Cristo, che è un don Chisciotte moltiplicato per quindici).

Don Elemirio Nibal y Milcar cerca una nuova inquilina. Ne ha già avute otto (tutte otto scomparse, chissà come, chissà perché). La giovane Saturnine sarà la nona.

Il destino lo vuole; e così parte l’insolita convivenza tra l’eccentrico proprietario e la bella, grintosa plebea.

Separati in casa. Diversissimi, con giornate ben distinte. Lei, fiera e felice dell’inaspettato paradiso che a poco prezzo le è toccato. Lui, da vent’anni chiuso in casa, solitario supercattolico, ossessionato dal peccato e contrario al matrimonio; innamorato dell’assoluto, amante del Bello e dell’Arte tutta.

Con quella culinaria vuole conquistare la coinquilina. Pregiatissimi cibi e vini, tra flûte di cristallo e stoviglie d’oro massiccio, a cena ogni sera; raffinatezze eno-gastronomiche – con tanto champagne: la versione fluida dell’oro – a far da punteggiatura a un dialogo lungo quanto tutto il racconto. Un conversare svelto e brillante, intelligente e vivo come lei, colto e inconsueto come lui…

Parole dense di rimandi: la vita, l’amore, la morteInnamorarsi è il fenomeno più misterioso dell’universo, vivere è una strana avventura, morire è molto facile, uccidere a  volte è esteticamente un errore… Le battute corrono veloci, in un crescendo di dubbi, sospetti e segreti.

Come quello della porta proibita dietro cui sta l’intoccabile camera oscura, inquietante, nero santuario d’invisibili fotografie. E’ il regno dell’Enigma e del Divieto. Non oltrepassare. Non toccare. Il segreto merita rispetto… La curiosità sarà punita, come da sempre insegna la fiaba di Barbablù. Con tutte le sue varianti, compresa questa nuova favola postmoderna che scombina le carte, scambia i ruoli, gioca coi colori….

Il colore è il piacere ultimo. E’ talmente vero che in giapponese – scrive Amélie Nothomb – “colore” può essere sinonimo di “amore“. Che qui fa rima soprattutto con stupore… O con lo splendore dell’oro, l’alchemica immagine con cui Barbablù conceda il lettore. L’oro, il top del colore, l’acme del giallo che – in questo sorprendente noir – dispiega tutte le sue sfumature, tra lampi d’oscura follia e scatti di luminosa fantasia.

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Così è la vita, amore mio… il romanzo di Maria Sardella

marzo 8, 2013 in Recensioni da Piera Maculotti

Copertina romanzo Maria Sardella così èUn pezzo di terra fresca di vita e prodiga di ombre… E’ il giardino che, nel sole di Puglia, sta attorno alla casa; dentro, due genitori e una storia bella, aspra, densa.

Così è la vita, amore mio (Altrimedia pp.99 €12) è il titolo del romanzo di Maria Sardella Leggi il resto di questa voce →

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Il partigiano Primo Levi

marzo 4, 2013 in Recensioni da Piera Maculotti

Primo LeviNel luglio 1986 feci una lunga intervista a Primo Levi (Bresciaoggi, 26-7-1986). Mi aveva sconvolto il suo ultimo libro I sommersi e i salvati, che è anche il titolo di un capitolo di Se questo è un uomo. L’anno dopo, Primo Levi moriva.

In quell’intervista gli avevo chiesto, tra l’altro, di dirmi qualcosa sul periodo antecedente ad Auschwitz. Mi rispose che lo sentiva come un periodo opaco, vissuto con altri giovani sprovveduti e sciocchi, un periodo da dimenticare.

Eppure fu proprio dall’ottobre 1943 al febbraio 1944 che Primo Levi partecipò alla Resistenza, fu catturato e inviato a Fossoli e poi al Lager. Di quei quattro mesi si sapeva molto poco, poche lettere, qualche testimonianza orale di amici. Ora è stato pubblicato un saggio che racconta quei giorni anche attraverso indagini d’archivio Leggi il resto di questa voce →

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da admin

Entretien avec Amélie Nothomb (1)

marzo 1, 2013 in Traduzioni da admin

it          gb

Amelie NothombAmélie Nothomb, écrivain belge francophone, fille de diplomates, est née en 1967 à Kobe, au Japon. En 1992 elle publie aux Edition Albin Michel son premier roman, Hygiène de l’assassin, qui devient l’événement littéraire de l’année: 100.000 exemplaires vendus (en plus des 125.000 copies pour le roman poche), deux adaptations théâtrales, un film. Depuis cette époque, elle a publié un roman par an, fidèle au même éditeur Albin Michel.  En Italie, les livres de la Nothomb sont traduits et publiés par la maison d’édition Voland (Rome).  Son roman Stupeur et tremblements, publié en 1999, a vendu 400.000 exemplaires en France. Traduit en 15 langues, il a reçu 16 récompenses dans le monde entier, y compris: le Prix Alain-Fournier (deux fois), le jury du prix Jean Giono, le Prix du Roman de l’Académie Française, le prix Chianciano.

Depuis son premier roman, Amélie Nothomb montre les mêmes caractéristiques d’écriture : un regard impitoyable, beaucoup d’humour, des histoires originales. Ecrivain prolifique, elle écrit en moyenne quatre livres par an, mais, pour son choix, elle n’en publie qu’un seul. Dans ses romans on trouve facilement des traits autobiographiques : le séjour au Japon, le travail dans une multinationale, l’amour trouvé et perdu, la boulimie. En effet Amélie Nothomb  a dit dans une interview que c’est l’écriture qui l’a sauvée.

Q: Pouvez vous nous faire entrer dans votre laboratoire créatif?
R : Impossible : is est un sous-marin au fond de moi-même

Q: A qui vous conseille d’écrire?
R: A’ personne.

Q: Que pensez-vous est due à son succès?
R: Sur un malentendu.

Q: «Je vous écris parce que l’écriture me donne le plus grand plaisir artistique que possible.Si mon travail quelques privilégiés ont gratifié délice. Quant à la masse je n’ai aucune envie d’être un romancier populaire. Et «trop facile». (Oscar Wilde)
Que pensez-vous?
R: Il existe trois phrases dans cette brillante déclaration. La première est vraie, les autres sont de beaux mensonges.

Q: Hygiène de l’assassin, son roman le plus célèbre, le lecteur est surpris par la crudité des dialogues, le «mauvais» intériorisé, ventilés sur les pauvres journalistes. Le protagoniste est son désir de vengeance sur un monde (les chiffres représentent la totalité des journalistes) qui ne comprennent pas ou ne comprennent pas. Tous avec un horrible secret qui est révélé seulement à la fin. Dans les livres ultérieurs, il est facile de voir son autobiographie, ni Eve ni d’Adam ou de sabotage sont un exemple de l’amour.
Quel est autobiographique dans Hygiène de l’assassin?
R: C’est mon livre le plus autobiographique: mon manifeste et ma biographie programme littéraire.

Q: Dans Journal d’Hirondelle écrit: «Qui se sent glisser dans l’élégie devriez garder rapide pour son corps sec et austère.”
Et ‘accusation selon laquelle le poésie?
 Pourquoi?
Avez-vous écrite de la poésie?
R: Jamais. Ma manière de couliura la poesie c’est l’assasinat

Q: Beaucoup de gens écrivent, mais le garder pour eux-mêmes leur propre écriture. En Italie, le «peuple de saints, des poètes et des navigateurs” tiroirs sont pleins, mais les gens qui lisent peu. Il arrive aussi en France.
Qui est responsable?
R: Vous présentez cela comme un mal : c’est très bien.

Q: Vous avez déclaré que : « Un vrai lecteur est celui qui se baigne tellement dans la lecture d’une texte a en sortir changé, quelqu’une qui se pose par rapport au livre dans un état de disponibilité profonde ». Tach se pleint de n’avoir personne qui le lit « vraiment ». Vous croyez avoir changé certain de vos lecteur ?

R: Oui. Surtout ceux qui, après m’avoir lu, tuent leur voisin.

Q: Dans la Cause de Dieu, nous parlons d’identité et de son vol.
Avez-vous déjà pensé que vos lecteurs peuvent perdre leur identité tente de devenir un personnage dans Amélie Nothomb Amélie, si pas la même chose?
R: C’est arrivé beaucoup de fois.

Q: Vous avez mentionné le groupe Radiohead dans le Journal d’hirondelle et compare l’opéra italien pour les émotions transmises, ce qui nous rend très heureux.
L’opéra se termine souvent en tragédie, et souvent les bons meurent. Il peut y avoir une analogie entre la fin du mélodrame et la fin tragique de ses livres?
Quelle est votre relation avec la musique classique?
R: Tous mes livres sont pour le mélodrame tragique. Quelle est ma relation avec la musique classique? Lisez mon nouveau livre: Le Voyage d’hiver.

Q: Dans vos romans, cite de nombreux livres. Littérature, qui brûlent les livres et ce qui serait sauvé? Pouvez-vous nous donner au moins trois titres pour chacun?
R: Pour la gravure: aucun. Les mauvais livres sont nécessaires. Pour enregistrer: Don Quichotte, La Princesse de Clèves, Le Rouge et le Noir, Les Liaisons dangereuses, Le Portrait de Dorian Gray, Si c’est un homme.

Q: Dans Le Portrait de Dorian Gray, l’identité et l’âge du personnage restent inchangés ..
L’écriture est le miroir d’Amélie ou un filtre?
R: Il est le miroir le plus sincère et honnête.

Q: L’écriture est Amélie ou de son péché?
R: Mon écriture est mon péché.

Q: Il me semble que le motif de ses romans est la suivante: la transgression – la mort – coupable. Il a déclaré que ce sont souvent les victimes et les auteurs en assument la responsabilité. Mais pourquoi ne pas les coupables?
R: Parce qu’ils ne sont jamais un sentiment de culpabilité.

Q: Dans la combinaison de la Cosmétique ennemi reprise coupables d’arrogance. C’est parce que, selon elle, l’écriture est en soi un acte criminel et les mots sont les armes les assassiner. Pourquoi ne pas essayer de guérir?
R: Parce que c’est un plaisir trop grand.

Q: Dans vos livres, toujours l’amour comme une figure passion exaspérée qui mène à la destruction de l’objet aimé. La haine, en revanche, ne semble pas être tout aussi destructrice d’une passion …C’est une Nothomb paradoxe classique?
R: Oui

Q: Le paradoxe est présent dans ses écrits, comme une partie de leur philosophie et contradictoires. Et ‘échelle exagérée dans la provocation de la frontière que vous pouvez voir sa poétique?
R: Absolument. Il s’agit d’une aporie poétique.

Q: Toucher les extrêmes que vous obtenez au centre?
R: Oui, mais en même temps, montrant l’ensemble.

Q: Ses thèmes sont la mort, la relation avec l’ennemi intérieur, l’obéissance, la guerre, la faim, la survie même, mais aussi la poursuite de l’ancienne pureté intérieure.
Il ya des thèmes forts, mais qu’elle fait face de façon légère.
C’est la clé pour raconter ces questions?
R: Certainement. La légèreté est le seul moyen.

Q: «Les hommes se révèlent être cruel, mais les femmes le sont. Les femmes semblent sentimentale, mais les hommes le sont. “ Friedrich Nietzsche avait raison?
A: Nietzsche a toujours raison.

Q: Dans plusieurs interviews que vous avez dit de ne pas utiliser le PC, téléphone, e-mail. Pourquoi rejeter la modernité?
R: Parce qu’ils sont préhistoriques.

Q: Métaphysique des tubes, le refus est la preuve de l’existence même. N’étant pas on est.
Et ‘nell’acconsentire vous perdez une partie ou la totalité d’eux-mêmes? Pourquoi?
R: Le consensus est une perte de soi.

Q: Il a dit: “Je pense que dans la vie vous décider entre ces deux modes d’acquisition de l’identité. Si vous êtes le produit de la découverte de soi, ou le produit d’une «invention».Mais la découverte et l’invention ne sont pas synonymes?
R: Seulement dans les yeux de la loi.

Q: Il n’est pas dans la conscience de sa propre identité que vous achetez?
R: Oui, mais ce n’est pas incompatible avec ma théorie.

Q: Biographie de la faim revient reflété le thème de la mort, mais le manque de sentiments: c’est stériliser la langue que vous pouvez blesser le joueur?
R: Ça fait mal dans le monde avec cette stérilisation.

Q: Si vous deviez définir en bref comme un écrivain, comment définiriez-vous?
R: Je vous écris de l’ornithorynque

Q: Quel est-il au sujet de son dernier livre, Le Voyage d’hiver?
R: Dans la lutte entre le froid et la chaleur.

Q: L’amour entre deux femmes est-ce possible?
R: Oui

Q: Avez-vous fait des choses folles par amour?
R: Oui

Q: Il dirait à un?
R: Non

Q: Le thé vert est trivial?
R: Oui

Q: «Certains livres sont dégustés, d’autres avalés, mâchés et digérés quelques-uns.”
(Francis Bacon, 1561-1626). Ceux qui, à mâcher, sont ses livres!
R: Je suis d’accord. Mercie.

Nous remercions l’éditeur de la disponibilité de Rome Voland reçues.

Dans Luc

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da admin

Giornali: quanti anni di passione!

febbraio 28, 2013 in Crisi da admin

San Francesco di Sales è il patrono dei giornalisti. Ma negli ultimi anni si è distratto così che, incredibilmente, si deve ricorrere al vescovo di Chieti che ha scritto una bella preghiera di rinforzo.

In effetti la crisi interminabile colpisce tutti e continua a mordere i media.

Cominciamo dalla base: in cinque anni hanno chiuso 10.000 edicole. Colpa di internet, free press (i giornali gratis), meno tempo da dedicare alla lettura, meno soldi in tasca, ma anche problemi con la distribuzione: tra il 50-60 % dei prodotti editoriali pagati in anticipo restano invenduti, tonnellate di carta si riversano sulle edicole e tornano indietro qualche giorno dopo per andare al macero o essere ripubblicate con un titolo diverso.

Veniamo ai mass media. C’è un dato che riguarda tutti, ed è il calo della pubblicità: -17% per i quotidiani, – 18% per i periodici, -15% per la televisione, -10% per la radio, -25% per il cinema, -54% per la free press, solo +7% per il web.

Calano i lettori che ora sono 22 milioni cinquecentomila, con un arretramento di 1.218.000 in pochi anni. I giornali che sono ricorsi allo “stato di crisi” sono 58. Tra prepensionamenti, cassa integrazione e contratti di solidarietà, i giornalisti coinvolti sono 1140. Spesso i collaboratori sono stati eliminati, ma a volte si salvano perché sono sottopagati.

Giornalisti

In questo contesto, le 500.000 copie del passato vanno dimenticate. Come sempre il pieno lo fa La gazzetta dello sport con 4,2 milioni l’anno. Vengono poi i giornali d’opinione: Repubblica supera il Corriere con 330.000 copie al giorno (il dicembre scorso) contro le 307.000 del rivale. Seguono La stampa, Il Messaggero, Il resto del Carlino. Il sole24 ore. Il quotidiano della Confindustria continua a perdere: quest’anno il 13% e si è fermato a poco più di 1 milione di lettori. Ha reagito con un originale sito internet con settori per tutti e settori più specialistici a pagamento. Nella famiglia Berlusconi Il giornale scende del 7%, Libero del 17%. Segno “più” solo per L’unità e Il tempo.

Il Gruppo Rcs che comprende il Corriere della sera, ha debiti per 876 milioni e dovrà ricorrere a licenziamenti selvaggi o ad un aumento di capitale, mentre si discute di vendere la sede di via Solferino.

Buona è la situazione del Fatto quotidiano, 49.000 copie al giorno. Il 2012 si chiude con un attivo di 4 milioni. Nel sito web sono stati allestiti due studi televisivi per le dirette streaming. Ritornerà in pagina l’inserto culturale (Saturno) che aveva avuto poco successo. Ma anche Il fatto perde quote in edicola e in abbonamento.

Il Manifesto, conclusa la fase della liquidazione coatta amministrativa, ha fondato una nuova cooperativa e avviato una cassa integrazione a rotazione che ha dimezzato l’organico lasciando al lavoro solo 36 giornalisti. Pubblico di Telese chiude dopo 100 giorni di vita. Liberazione e Il secolo d’Italia sono passati al web. I grandi quotidiani chiudono alle 22.30 la sera, un’ora prima che in passato per diminuire i costi.

L’arrivo a Brescia del Corriere con alcune pagine locali ha influito poco sulle vendite degli altri due quotidiani. I tre giornali dovrebbero vendere intorno alle 60.000 copie giornaliere (i numeri sono tenuti ben nascosti), ma hanno ridotto la raccolta pubblicitaria, dovendo dividerla col nuovo venuto.

Chiudono varie tv locali e si teme un ridimensionamento de La 7 dopo la vendita.

Fininvest ha avuto, dopo un lungo periodo di perdite, un rialzo col ritorno di Berlusconi alle elezioni, ma la controllata Mediaset chiuderà con un indebitamento di 1,8 miliardi, mentre passa di mano il 12% del capitale. Mediaset ha molto investito in Mediaset Premium, la tv a pagamento, proprio quando le tv generaliste sono al tramonto, e il suo share scivola verso il 30%. In Mondadori periodici e libri vendono molto meno e risentono, come la casa madre, del calo pubblicitario. Gli errori di restyling di Panorama hanno portato alla perdita del 5,5 e la Mondadori ha chiusi 6 mensili minori.

Molto meglio la situazione di G9 che è in attivo. Senza fare misteri, il suo numero di lettori è scritto vicino ad ogni articolo.

Anche all’estero i media soffrono. Quattro casi tra i tanti: Newsweek, uno dei giornali più importanti del mondo, ha abbandonato la carta ed è passato al web. Grun+Jahr/Mondadori, editore, tra l’altro, di Focus, ha adottato una cassa integrazione a rotazione. Thomas Reuter, l’agenzia di informazione finanziaria della Reuter, ha licenziato 3.000 persone, El pais ha licenziato un terzo dei dipendenti (128+21 prepensionamenti).

In questa situazione la posizione dei giornalisti è sempre più scomoda: devono saper fare di tutto, dalle riprese video all’uso globale dell’informatica, il loro lavoro è sempre più stressante. Sono anche tartassati da direttori sempre più sensibili alla esigenze dei consigli d’amministrazione e della pubblicità. Per quanto riguarda i collaboratori, l’Ordine dei giornalisti esulta perché la Commissione cultura della Camera ha approvato una legge sull’equo compenso. Ma l’equo compenso, di cui non si sa niente, sarà deciso da una Commissione di 7 membri, e i tempi si allungano dopo i risultati elettorali quando c’è ben altro a cui pensare. Sempre meglio che fare il free lance in trincea: nel 2012 sono morti 141 giornalisti in 29 Paesi diversi, soprattutto in Siria. Poi ci sono le minacce, come quelle delle mafie.

I conflitti di interesse sono vasti. Non solo quelli di Berlusconi, ma delle banche, presenti nei consigli di amministrazione, e di enti vari che, per auto proteggersi, rifiutano di fornire dati che devono essere pubblici. Clamoroso il caso del tribunale di Latina che ha allontanato i giornalisti che aspettavano di conoscere il nome dei candidati delle liste elettorali appena depositate dai partiti.

I giovani oggi sono più informati che in passato, hanno lo smartphone in tasca, ma la professione, già in crisi, non li accoglie. L’età media dei lettori su carta è intorno ai 60 anni, altro che internet!.I giovani amano il web che è una grande enciclopedia zeppa di falsi che nessuno correggerà mai. Qualche studioso dice che in quel caos si sta perdendo la nozione stessa di fatto. Insomma la crisi non lascia spazi, nemmeno a coloro che per un articolo rischiano la vita.

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da admin

Arte sì, ma anche vestiti

febbraio 20, 2013 in Arte e mostre da admin

Il pittore Eugenio Mombelli espone alla Galleria AAB, in Vicolo delle stelle a Brescia, una mostra personale dal titolo: Wear the Art, Indossa l’Arte. Si tratta di un connubio tra le sue opere di pittura, scultura, incisioni e la loro riproduzione su vestiti di seta per il mondo della Moda. Ci sono quindi lavori del suo mondo artistico, in parte anche riprodotti per essere indossati. I vestiti, portati da modelle durante l’inaugurazione, erano stati presentati in anteprima al Pitti Moda di Firenze del giugno scorso.

Artista informale, Mombelli ha dato il via nell’opera pittorica a scritture “misteriose” che rappresentano messaggi non leggibili, quindi non “figurativi” che lasciano l’osservatore libero di interpretarli in funzione della propria sensibilità. Ciò in linea con la tematica generale delle opere Informali che, non fornendo un soggetto chiaramente visibile, tentano di arrivare alla sensibilità individuale, per definizione singolare e peculiare.

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“Per poter comunicare – dice Mombelli – dobbiamo avere un’affinità comprensiva che oggi è ostacolata dai diversi idiomi, mentre un messaggio visivo è di comprensione più semplice e generale. I nostri antenati, incidevano o dipingevano messaggi figurativi o criptici per codificare e trasmettere sensazioni ed emozioni che da molto tempo centinaia di esperti cercano di comprendere”.

Analogamente, i bambini quando cominciano a tracciare segni su di un foglio, hanno chiaro in mente cosa vogliono esprimere, anche se per l’interpretazione reale e profonda, penso io, ci si dovrebbe rivolgere alla psicoanalista Melania Klein e almeno al suo libro Analisi di un bambino.

Su questa linea si innestano i codici segreti che sono diametralmente opposti come ricerca, ossia danno un messaggio che solo alcuni sono in grado di decodificare.

E’ un mondo affascinante immergersi in questa simbologia per noi sconosciuta e cercare di capirne l’essenza: a volte sono lampi, che ci fanno intraprendere la strada giusta per decodificarli e renderli palesi, a volte si imboccano strade senza uscita.

Testimoni e cultori di queste grafie misteriose sono personaggi di tutte le epoche, dai condottieri romani a Leonardo da Vinci, a Giovanni Battista Alessandro Conte di Cagliostro. Arte Informale, vestiti, scritture, in fondo è semplice Wear the Art.

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